mercoledì 3 aprile 2013
​Kristiina Kangaspunta è il capo dell’Unità anti-tratta delle Nazioni Unite: «Vanno sradicate le cause dei Paesi d'origine e colpite i clan che ne approfittano»
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«La tratta di esseri umani è un fenomeno criminale estremamente dinamico. Negli ultimi anni non solo abbiamo registrato una crescita del traffico di minori, ma abbiamo notato anche un rapido aumento della tratta finalizzata, oltre che all’emigrazione illegale, al lavoro forzato e ad altre forme di sfruttamento dei bambini, come l’accattonaggio». Kristiina Kangaspunta è il capo dell’Unità anti-tratta delle Nazioni Unite. Ogni giorno dal suo ufficio di Vienna deve investigare casi drammatici che, uno ad uno, compongono la mappa mondiale delle nuova schiavitù. Come sta cambiando il mercato degli schiavi? Alcune nazionalità tradizionalmente presenti tra le vittime della tratta alla fine degli anni 90, in particolare russi e ucraini, sono oggi meno frequentemente rilevate, specialmente in Europa occidentale. Ma in altri casi, che riguardano Africa e Asia, non abbiamo riscontri altrettanto positivi. Qual è il ruolo della criminalità organizzata transnazionale? Sebbene la tratta di esseri umani sia un fenomeno diverso da quello dello sfruttamento dell’immigrazione irregolare, in entrambi i casi troviamo assai presente il crimine internazionale, organizzato in gruppi strutturati che traggono profitto sia dalle vittime della tratta sia da quanti volontariamente decidono di varcare illegalmente i confini degli Stati. Che cosa si può fare per prevenire il moderno mercato degli schiavi? Nel lungo periodo dobbiamo lavorare per ridurre la vulnerabilità delle vittime, affrontando le cause profonde della tratta, quali la povertà, la disuguaglianza e la limitata libertà di movimento delle persone. Nel breve periodo abbiamo invece bisogno di aumentare le possibilità di poter arrestare e punire i trafficanti. Il "Rapporto 2012" esprime preoccupazione per i bassi tassi di condanna. C’è qualche progresso importante? Rispetto al "Rapporto Globale 2009" abbiamo notato un aumento del numero di Stati nei quali per la prima volta sono state inflitte condanne. Tra il 2003 e il 2006, circa il 40% dei Paesi monitorati non aveva casi di indagini con sentenze definitive per questo reato. Ora questa percentuale si è ridotta al 16%. Tuttavia, il miglioramento è molto limitato rispetto alle conseguenze drammatiche che questo crimine comporta sulle vittime. La crisi economica globale come sta influenzando le rotte degli schiavi? Il nostro Rapporto segnala un certo legame tra le dinamiche economiche e il traffico di persone. In particolare, più cresce il tasso di disoccupazione nei Paesi di origine, più aumenta il numero delle vittime di questo Paese verso le destinazioni degli sfruttatori. Viceversa, e questo deve farci riflettere, i Paesi nei quali le condizioni economiche stanno migliorando fanno registrare una diminuzione dei flussi. Tuttavia, il fenomeno è legato più alle differenze socio-economiche tra i Paesi di origine e di destinazione che alla globalizzazione della crisi economica. Un fatto è certo: le vittime sono normalmente provenienti dalle regioni più povere. Perciò abbiamo bisogno di prendere in considerazione i fattori che alimentano questo turpe mercato. Gli aspetti culturali sono tuttavia decisivi. Quello che non sappiamo, infatti, è cosa accadrebbe se, a parti invertite, la crisi colpisse violentemente i "Paesi ricchi" e se qui si svilupperebbe un flusso in direzione opposta. Ci sono aree nelle quali state osservando condizioni migliori rispetto al passato? Alcuni indicatori ci dicono che la tratta transfrontaliera dai Paesi dell’Europa orientale verso quella occidentale è generalmente in decrescita. Una buona notizia, certo, ma che richiede un monitoraggio continuo per poter rivalutare queste dinamiche a distanza di tempo.
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