mercoledì 29 febbraio 2012
​Un’inchiesta in due aziende asiatiche che producono le mascotte delle Olimpiadi britanniche ha svelato una serie di abusi. Le Ong: «Un incubo le fabbriche cinesi, stipendi da fame e lavoro minorile».
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Il peluche di Wenlock e Mandeville, così si chiamano le mascotte olimpiche, costa 20 sterline. La paga settimanale del lavoratore cinese che l’ha prodotto è di 26 sterline. Fervono i preparativi per i Giochi 2012 di Londra, scintillante vetrina dello sport mondiale e grande affare per l’ampio indotto che trascina. Gli organizzatori prevedono che le due mascotte aumenteranno le vendite del merchandising olimpico – portachiavi, pupazzi, adesivi, spillette – di un miliardo di sterline, quasi un miliardo e 200 milioni di euro. Cifre iperboliche, che nascondono un altro costo pagato dai lavoratori cinesi, spesso minori: condizioni insalubri, paghe da fame, lavorazioni pericolose, assenza di tutele.A squarciare il velo che nasconde lo sfruttamento vergognoso che impera nel retrobottega dello splendore olimpionico è un dettagliato rapporto della Campagna Play Fair, cartello internazionale di federazioni sindacali e organizzazioni non governative tra cui la Clean Clothes campaign, la campagna Abiti puliti che sta conducendo da tempo una battaglia contro la sabbiatura dei jeans che provoca silicosi mortali (vedi box a fianco, ndr). Il rapporto Toying with Workers’ Rights, giocare coi diritti dei lavoratori, è stato redatto grazie a ricercatori sotto copertura che hanno investigato a fine 2011 su due fabbriche cinesi della provincia di Guangdong. E hanno raccolto evidenti prove di sfruttamento. «I consumatori possono pensare che le mascotte olimpiche sono carine e divertenti – ha detto una lavoratrice – ma non potranno mai immaginare il duro lavoro e i bassi salari che abbiamo».La fabbrica A, alle porte di Huizhou, produce spille e impiega 500 lavoratori che superano i 1.000 nei periodi di picco produttivo. La fabbrica B è in area rurale, isolata, produce i peluche e impiega tra i 250 e i 600 operai. Nei due opifici non viene rispettato neanche uno dei nove standard sanciti dal codice di condotta del comitato organizzatore dei Giochi olimpici e paraolimpici di Londra (Locog) che chiede solennemente – sulla carta – salario di sussistenza, divieto di lavoro minorile, lavoro sicuro, condizioni salubri, libertà sindacali. Per la produzione di spille vengono impiegati bambini, in violazione non solo del codice Locog, ma della stessa legislazione cinese. La paga è inferiore al minimo garantito dalle leggi cinesi e la gran parte dei lavoratori non ha versamenti previdenziali e per assicurazioni mediche. Stipendi così bassi costringono quindi gli operai a straordinari – quasi sempre obbligatori – di oltre 100 ore al mese, quando il limite legale è di 36. Alcuni lavorano su turni di 24 ore, ad altri è negato il giorno di riposo settimanale.Per rivendicare i propri diritti bisognerebbe conoscerli, ma i lavoratori della fabbrica A non avevano copia del loro contratto, mentre nella fabbrica B il contratto differisce dalle reali condizioni di lavoro, in particolare per i salari. Qui vengono anche multati gli operai che vogliono lasciare il lavoro prima della scadenza del contratto quinquennale.A questi lavoratori è impedito di iscriversi ai sindacati o di organizzarsi per rivendicare i propri diritti. Un lavoratore che aveva inoltrato un reclamo è stato punito con una multa per «offesa al supervisore». Molto carenti le condizioni di igiene e sicurezza sia sul posto di lavoro che nei dormitori a disposizione del personale. I dispositivi per la protezione personale non sono sufficienti e il loro uso non è obbligatorio. Molti vi rinunciano per essere più veloci e raggiungere gli obiettivi di produzione. Nella fabbrica A sono usati prodotti chimici pericolosi per la salute e molti lamentano problemi alla schiena per le molte ore sugli sgabelli. Nella fabbrica B i dormitori non hanno ricambio d’aria e l’acqua calda è pochissima. Le ispezioni infine: spesso sono preannunciate e i lavoratori, che temono per il loro posto di lavoro, sono minacciati o corrotti per ingannare gli ispettori.Per la Campagna Play Fair «qualsiasi sforzo autentico di cambiamento deve coinvolgere i lavoratori». La realtà è che «le imprese incaricate di produrre beni col logo olimpico chiedono etica a bassa voce, mentre la alzano quando pretendono alta qualità e bassi costi».
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