domenica 21 ottobre 2018
Alla guida dell'azienda che produce 30 varietà di cacao c'è la sesta generazione di una famiglia corsa dal cognome fiorentino: danno lavoro a oltre 200 persone
Mariella Franceschi e don Giorgio Bissoni in una piantagione di cacao

Mariella Franceschi e don Giorgio Bissoni in una piantagione di cacao

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L’azienda dei Franceschi, a El Pilar, nell’est del Paese, sembra un’oasi nel deserto di desolazione, come è gran parte delVenezuela profondo. La famiglia, con origini in Corsica e cognome fiorentino, è in Venezuela dal 1830. Alla guida dei 180 ettari di terreno su cui si producono 30 varietà di cacao (il Canoabo è molto ricercato) c’è la sesta generazione.

La loro è una lotta quotidiana in un contesto orientato verso la nazionalizzazione di tutte le attività. «Nel 2011 la nostra impresa era a terra – dice Carlos Franceschi, brillante imprenditore 35enne, che qui conduce l’omonima casa (ben oltre 200 i dipendenti) assieme ai familiari, ai cugini e agli zii –. Prendemmo una decisione importante: quella di confrontarci con tutte le componenti aziendali. Basta verticismi e gerarchie: avevamo bisogno di capirci e di stimarci a vicenda. All’epoca anche i nostri dipendenti erano tutti chavisti. Facemmo un discorso chiaro: chi condivide i nostri valori può restare. Se ne andò il 54 per cento della forza lavoro». Il riscatto era dietro l’angolo.

«Nel primo anno dopo il cambiamento – chiarisce Carlos con non poca soddisfazione – la produzione aumentò del 132 per cento. Abbiamo puntato sulla complementarietà. Prima di tutto ha valore la persona umana. Poi viene la produzione del cacao». La situazione generale in cui opera l’azienda rimane complicata. «Abbiamo a che fare con un governo populista, militare e totalitario e autocratico, che distrugge la capacità di giudizio – prosegue Carlos che si fa tradurre dalla sorella Mariella, pure lei impegnata in azienda, anche se poliglotta e giramondo –. Non vogliamo fare assistenzialismo, ma accompagnamento. Pensiamo al benessere integrale di chi ci vive accanto».

Grazie alla creazione della Fondazione San José che nasce come diramazione della Franceschi, Carlos e i suoi sono stati in grado di formulare una proposta a dieci scuole, coinvolgendo 2.500 bambini del territorio. «Si tratta di un progetto sociale per formare persone – aggiunge –. Ma in cinque anni abbiamo l’ambizione di raggiungere 15mila studenti». Con l’arrivo della grave crisi del 2016, le esigenze in parte mutano. «Abbiamo aggiunto altri due progetti: salute e alimentazione – precisa l’imprenditore –. Si poteva correre il rischio dell’assistenzialismo. Invece abbiamo cercato e cerchiamo di sostenere chi vuole apprendere una professione. È da quell’epoca che conosco Alejandro Marius, di Trabajo y persona. In quella occasione cambiò la mia visione. Ora sosteniamo progetti per avvicinare quanti desiderano accendere una speranza. Per avere una luce più forte, più luminosa, più attraente».

Pare sogni ad occhi aperti Franceschi, vista la condizione in cui versa il Paese in cui agisce. «Se non ci sono opportunità, le offre il narcotraffico – taglia corto Carlos –. Noi lo contrastiamo creando occasioni di lavoro e di riscatto. La strategia intelligente non è attaccare, altrimenti ti uccidono. Ripeto: nuove occasioni e accendere luci. Qualche tempo fa, per un grave problema di salute, sono rimasto bloccato a letto per quattro mesi. Dalla sofferenza si impara, per se stessi e per la realtà che ti circonda ». «Sí, se puede», si legge su un cartello all’interno dell’azienda: non solo uno slogan, ma un programma di lavoro e di vita.

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