giovedì 29 ottobre 2015
​Gli Usa insistono: azioni di terra. Mosca: inaccetabili. Domani a Vienna il regime iraniano sarà tra i protagonisti.
La svolta che apre spiragli (Giorgio Ferrari)
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Anche l’Iran discuterà a Vienna, a partire da domani, il futuro della Siria, compresa l’uscita di scena del presidente Bashar al-Assad. L’accettazione americana della presenza della Repubblica Islamica al tavolo delle trattative e l’apparente disponibilità russa ad abbandonare l’appoggio per il dittatore siriano sono i nuovi due elementi che, insieme, potrebbero finalmente produrre consenso attorno a una soluzione politica della guerra civile siriana, che dilania la regione da oltre quattro anni. La svolta diplomatica avviene però nel contesto dei continui bombardamenti russi sulle posizioni dei ribelli moderati anti-Assad e della nuova strategia militarmente più aggressiva contro lo Stato islamico in Iraq e Siria annunciata da Washington.  Le basi per una conferenza internazionale che garantisca una «transizione in Siria» e un «calendario preciso» sulla partenza di Assad sono state gettate martedì a Parigi nella riunione convocata dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, alla quale hanno partecipato Arabia saudita, Giordania, Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Usa, Regno Unito, Germania e Italia. Ma non la Russia. La consapevolezza della necessità del contributo di tutte le forze coinvolte nel conflitto è emersa nel corso dell’ultimo round di colloqui a Vienna, conclusosi venerdì scorso con un fallimento, anche se il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov vi avevano evidenziato il desiderio comune di lottare contro lo Stato islamico e altri gruppi estremisti violenti e di non spezzettare la Siria. In precedenza, ben due conferenze di pace sulla Siria a Ginevra, nel 2012 e nel 2014, erano naufragate, secondo molti osservatori proprio a causa dell’assenza dell’Iran, l’unico altro Paese che, insieme alla Russia, ha difeso attivamente sul campo il regime di Damasco. A Vienna domani si confronteranno dunque, per la prima volta al completo, due coalizioni: quella guidata dagli Stati Uniti dal 2011 che vede la presenza della maggior parte dei Paesi occidentali e arabi sunniti, e quella, più informale e recente, che fa capo alla Russia, con Iran e Iraq (oltre alla Siria e agli Hezbollah). Il passo avanti della presenza iraniana viene visto come una diretta conseguenza dell’accordo sul nucleare della Repubblica islamica raggiunto a luglio. Da Teheran, arriverà infatti Mohammad Javad Zarif, protagonista dei colloqui coronati, sempre nella capitale austriaca, dalla firma della storica intesa. Ma mentre Zarif ha giocato un ruolo centrale nel negoziare sul nucleare con gli Stati Uniti e altri cinque potenze mondiali, la portata della sua influenza sulla politica iraniana in Siria è meno chiara.   Resta però che di fatto Teheran farà domani il suo ingresso ufficiale sulla scena diplomatica internazionale, al fianco dell’acerrimo nemico americano e delle monarchie del petrolio sunnite del Golfo, alleate degli Usa e ostili a Teheran, la culla dello sciismo, e che finora si erano sempre opposte ad un coinvolgimento dell’Iran nei negoziati. Infatti la perplessità allo sdoganamento di Teheran non è scomparsa. La coalizione nazionale siriana, principale alleanza di opposizione a Assad, ha dichiarato apertamente la sua contrarietà alla partecipazione di Teheran ai colloqui. E l’Arabia Saudita ha chiarito di voler testare la «serietà» di Mosca e Teheran nell’arrivare a una soluzione politica.  A Vienna gli Usa cercheranno anche appoggio, almeno informale, alla loro decisione di lanciare una campagna militare più imponente contro l’Is. Il Pentagono ha infatti annunciato bombardamenti più intensi e l’uso di forze speciali sul terreno, e sta esplorando l’invio di elicotteri d’attacco Apache. Ieri inoltre fonti irachene assicuravano che soldati statunitensi sarebbero arrivati in «gran segreto» nei pressi di Fallujah all’inizio del mese per preparare il dispiegamento del «grosso delle truppe terrestri americane». Ma Mosca ha già ammonito gli Usa contro un’eventuale operazione terrestre: «È inaccettabile, costituirebbe un’altra clamorosa violazione del diritto internazionale », ha accusato Valentina Matvienko, presidente della Camera alta russa. © RIPRODUZIONE RISERVATA 

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