mercoledì 23 marzo 2022
Padre Rostylav (Caritas): il nostro centro è stato colpito, 6 razzi sono caduti vicino casa
Un'immagine satellitare della periferia di Mariupol devastata dalle bombe russe

Un'immagine satellitare della periferia di Mariupol devastata dalle bombe russe - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

«Non c’è niente di sacro a Mariupol per gli occupanti russi, niente di proibito dalla morale, niente che non si possa fare». Le sue parole sono essenziali, pesanti, controllate. Si sforza di metterle a fuoco, poi le pronuncia lente, con tono basso. Ma non è per il volume che si è fatto silenzio assoluto nella stanza. È per il suo aspetto, le spalle, le braccia, il petto offesi da qualcosa che nessuno dei presenti vede, ma che si intuisce spaventoso. E per lo sguardo, difficile da sostenere a lungo senza sentirsi ascoltatori inadeguati. Rostyslav Spryniuk, un pastore della chiesa ucraina greco-cattolica, è riuscito a lasciare la sua città, Mariupol. Si è rifugiato qui a Ivano-Frankivsk, nell’ovest dell’Ucraina, più sicura rispetto all’est del Paese, malgrado le frequenti sirene anti-aereo che solo ieri sono scattate quattro volte, per quasi cinque ore, senza tuttavia eventi bellici nella regione. Padre Rostylav è il direttore della Caritas di Mariupol, buco nero di questa guerra, la più tormentata fra le città ucraine, dove manca tutto, elettricità, acqua, riscaldamento, e dove si vedono i cadaveri dei suoi abitanti fuori dalle case.

«Mi alzavo presto la mattina, e uscivo per cercare pezzi di legno da ardere. La popolazione cucina all’aperto. Prendi due mattoni e li appoggi così», spiega facendo segno con le mani parallele. «Poi rientravo con la legna a casa da mia moglie e dai miei due figli, prima di correre al centro che in città riuniva tutte le organizzazioni di aiuto presenti». Descrive uno sforzo congiunto, anche tra fedi religiose. «Al centro avevamo persino volontari musulmani, erano turchi, preparavano il pane. Io mi occupavo dei pacchi da conse- gnare ai cittadini più in difficoltà, bloccati senza mobilità nei rifugi sotterranei».

I beni da distribuire venivano recuperati con la supervisione dell’esercito ucraino e della polizia locale «che aprivano magazzini, negozi, dove era probabile fossero rimaste scorte da requisire». La distribuzione degli aiuti era la fase più rischiosa. «Avveniva in auto. E quando le forze russe vedono un mezzo in movimento, cercano di colpirlo. Così eravamo un target mobile per ogni velivolo russo». Utilizza il tempo passato per raccontare delle attività che svolgeva, perché proprio mentre se ne andava, il centro di aiuto è stato colpito. «Non sono in grado di dire cosa sia accaduto, ma il centro è stato bombardato, mentre andavo via». Lo stesso è successo al suo quartiere: «Accanto al mio palazzo sono caduti sei razzi e una bomba». Quando gli chiediamo come abbia lasciato la città usa la parola «miracolo » «Avevano organizzato corridoi umanitari per le auto, una fila di chilometri. Mi trovavo lì in mezzo. Per due volte la coda è stata colpita, con i mortai e con i grad.

I civili dentro cinque auto sono rimasti uccisi». Poi la sua espressione prende, se possibile, un profilo ancora più cupo, quando fa riferimento a chi è rimasto indietro. «Molta gente è ancora dentro la città. Si deve capire che (le truppe russe) non hanno bisogno della gente che ci vive. Se a loro resta la popolazione, devono sfamarla. Mariupol è una città russofona, e Putin sostiene di proteggere chi parla russo. Una completa menzogna ». Gli chiediamo cosa prevede accadrà. Risponde come tutti gli ucraini con cui capita di parlare, saldi in una convinzione irremovibile. «Non so cosa aspettarmi nel breve periodo, ma alla fine, quando vinceremo, so che Mariupol sarà ucraina».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: