sabato 2 aprile 2016
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Sembra cementarsi il “fronte” del frastagliato mondo libico pronto a sostenere il governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. A una manciata di giorni dal rocambolesco insediamento a Tripoli – avvenuto via mare, dopo la reiterata chiusura dello spazio aereo sulla capitale libica decisa dai “ribelli” –, il Consiglio presidenziale incassa l’appoggio di città e milizie. Una prova di forza della “creatura” istituzionale voluta dalle Nazioni Unite o, invece, la conferma della fluidità e volatilità della situazione libica, nella quale le alleanze si fanno e si disfano rapidamente? La prima apparizione in pubblico ieri, in una moschea nel centro di Tripoli da parte di Sarraj conferma “il consolidamento” del potere del premier. La più clamorosa “defezione” è quella del premier del governo “ribelle” di Tripoli, Khalifa Ghwell che aveva accolto l’arrivo di Sarraj a suon di minacce e “inviti” ad andarsene. Ieri, invece, è stato Ghwell «a lasciare Tripoli alla volta di Misurata», secondo quanto ha scritto il giornale libico on-line Libya Herald. Negli uffici «del premier lungo Sikka Road sono arrivati membri della Commissione sicurezza del Consiglio presidenziale» e, scrive il Libya Herald, «sono stati posti i sigilli ai computer e ai documenti» presenti nella sede. Ghwell ha minacciato, comunque, di «contestare con mezzi pacifici e ricorrendo alle vie legali» l’arrivo nella capitale libica del Consiglio presidenziale, ribadendo «di essere contrario alla violenza e agli scontri interni». “Sparito” anche il presidente del Parlamento di Tripoli, Nuri Abu Sahmain, che si sarebbe invece rifugiato a Zuwara, sua città natale. Entrambi erano stati raggiunti, assieme a un terzo esponente politico, dalle sanzioni dell’Unione Europea. «L’amministrazione ribelle di Tripoli si dilegua», ha chiosato il giornale. Il Parlamento di Tripoli ha poi decisamente abbassato i toni, ribadendo «il no al golpe e alla violenza», e la volontà «di ampliare le basi del dialogo». Chi è passato, dunque, dalla parte di Sarraj? Le prime ad abbandonare la costellazione ribelle, sono dieci città – tra queste Sabrata e Zuwara – che hanno annunciato il loro sostegno all’esecutivo di unità nazionale. In un comunicato pubblicato su Facebook, le mu- nicipalità di dieci città costiere nell’ovest del Paese, situate tra la capitale e la frontiera con la Tunisia, hanno invitato tutti i libici a «sostenere il governo di unità nazionale» e hanno salutato l’arrivo del premier Sarraj e di altri esponenti del suo gabinetto, a cui hanno chiesto di «mettere subito fine a tutti i conflitti armati in tutta la Libia». A queste si sono aggiunte, anche altre tredici municipalità. Dichiarazioni di sostegno sono arrivata anche dal leader della Guardia addetta al controllo dei siti petroliferi libici, Ibrahim Jadhran, ex comandante che prese parte alla rivoluzione del 2011 contro Gheddafi: «Ci impegneremo a collaborare con il legittimo governo nazionale riconosciuto dalla comunità internazionale per fermare l’avanzata delle organizzazioni terroristiche come il Daesh e la minaccia che rappresentano per le risorse libiche». In che direzione andrà il governo libico? E, soprattutto: contando su quali mezzi? Ahmed Miitig, uno dei quattro vicepremier di Sarraj ha fornito una sorta di programma in quattro punti: «Primo: aiutare la gente a rientrare nelle proprie città, nelle proprie abitazioni, normalizzare la situazione. Secondo: anche con l’aiuto della comunità internazionale procedere a rimettere in piedi le strutture istituzionali, con riforme moderate e condivise. Terzo: dare sicurezza e operatività piena alla Banca centrale e al Noc, la National oil company, i due pilastri dell’economia dello Stato. Quarto: iniziare la guerra al Daesh, per scacciarli dal nostro Paese, possiamo già dire che l’85% dell’esercito della zona occidentale della Libia è con noi», ha concluso l’esponendo del governo libico. Come ha sottolineato anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni – che ha parlato al telefono con Sarraj – il governo libico non chiede «contributi militari ma economici e medici. Non chiedono subito un intervento esterno. Anche loro devono consolidare». Parlando in un incontro con la stampa a Washington al fianco del presidente del Consiglio Matteo Renzi, Gentiloni ha aggiunto di avere discusso della Libia anche con il segretario americano di Stato John Kerry e il ministro degli Esteri cinese: «Attualmente la posizione è quella di cercare di consolidare e allargare la base di questo governo di unità nazionale». Secondo Gentiloni «tutti sanno che siamo disponibili a dare una mano ma i passaggi saranno numerosi». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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