martedì 22 marzo 2011
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Come può evolvere la crisi libica, dopo l'avvio dei bombardamenti sotto l'egida Onu?andamento della crisi continua a sorprenderci. Ma se vogliamo evitare che la situazione sul campo si ossifichi in una Libia spaccata in due, con una guerra strisciante capace di fornire facile terreno di coltura per l’infezione di ispirazione qaedista, allora dobbiamo sperare che lo smantellamento delle forze pesanti dell’esercito di Gheddafi e della sua componente aerea possa nuovamente consentire agli insorti di riprendere l’avanzata su Tripoli. Qualunque esito diverso dal rovesciamento del regime dei Gheddafi costituirebbe un insuccesso anzitutto per Francia, Inghilterra e Stati Uniti, ma più in generale per l’Occidente e la comunità internazionale. La Risoluzione 1973, nella sua voluta e tradizionale ambiguità, fissava un punto di equilibrio tanto vago quanto insostenibile per gli uni e per gli altri. Un Gheddafi bloccato sulla difensiva avrebbe visto rafforzarsi l’opposizione interna, consentirle di trovare un maggior numero di sponde internazionali e far produrre conseguenze all’isolamento internazionale della Libia. Per come la campagna è partita, soprattutto per l’eccessivo uso della forza missilistica da parte degli Stati Uniti, oggi Gheddafi ha l’opportunità di far tornare il tempo a lavorare per lui. Tre, quattro giorni di cessate il fuoco unilaterale e verificabile metterebbero in serio imbarazzo la coalizione, che dovrebbe scegliere tra il fermare la propria azione e concedere tempo al colonnello o andare avanti, violando lo spirito della risoluzione. Quello che è cambiato in sole 48 ore è la presa di posizione della Lega Araba, che ha offerto un oggettivo assist a Gheddafi, che molto difficilmente il colonnello lascerà cadere.L'esito più probabile vedrà Gheddafi ancora al potere a Tripoli?Il paradosso è che siamo partiti in ritardo, eppure con la massima disorganizzazione possibile: disuniti, senza chiarezza sulla catena di comando (francese, americana, Nato?), senza coesione rispetto agli obiettivi da perseguire e sul bilancio costi/benefici accettabile. Abbiamo sperato che Gheddafi si spaventasse e mollasse la pressione militare prima o subito dopo l’inizio della campagna e che questo fornisse a noi lo spazio per produrre cambiamenti sullo scenario politico interno e regionale. In realtà, Gheddafi si è mosso cercando di procacciarsi un po’ di vittime cadute per mano occidentale, che facessero passare in secondo piano presso l’opinione pubblica araba le migliaia di morti ammazzati dai suoi mercenari. Ora potrà recitare la parte della vittima e persino del "moderato", che ottempera quella risoluzione che gli alleati invece cercano di aggirare. Il vero rischio è che potremmo avergli consentito di uscire dall’angolo e aver reso molto più difficile e/o politicamente costosa la sua cacciata.Come si muoveranno i cosiddetti insorti nelle prossime settimane?Se gli insorti non si attrezzano per far cadere il regime e non contrattaccano appena possibile, approfittando della sostanziale copertura aerea fornita dalla coalizione, la loro e la nostra situazione si farà molto difficile. Noi potremmo trovarci di fronte a un fallimento simile a Suez 1956, ma questa volta principalmente a causa della indecisione americana e non solo dell’attivismo anglo-francese. E loro potrebbero finire con l’essere gradualmente neutralizzati dal colonnello, una volta che la coalizione internazionale dovesse sciogliersi.Prolungandosi la crisi, come cambierà lo schieramento internazionale?Più la crisi si prolunga più la situazione si ingarbuglierà. Questo spiega la decisione di ricorrere massicciamente all’impiego di missili da crociera, nella speranza di assestare alle forze di Gheddafi e al regime nel suo complesso quel colpo di maglio che potrebbe assecondarne la caduta. Così facendo, però, si rischia di provocare forti malesseri dentro e intorno alla coalizione. La decisione della Lega Araba di dissociarsi dalle modalità di esecuzione della campagna attesta proprio della difficoltà per i regimi arabi di sostenere un’offensiva aerea che venisse rappresentata come sproporzionata. Evidentemente, se i governi arabi dovessero passare all’opposizione esplicita della campagna, le cose si complicherebbero parecchio. Gheddafi avrebbe buon gioco a denunciare quella in corso come l’ennesima aggressione occidentale ai danni del popolo arabo, motivata dalla sete di gas e petrolio. Cina e Russia potrebbero chiedere una nuova convocazione del Consiglio di Sicurezza con lo scopo di ottenere un’interpretazione "autentica" e restrittiva della Risoluzione 1973, dove alle potenze occidentali non resterebbe alternativa che opporre il veto, portando allo scoperto l’evidente frattura interna alla comunità internazionale. A quel punto le pressioni sui governi alleati – anche di carattere domestico – potrebbero divenire talmente forti da creare una sorta di impasse. Se la posizione della Lega non è recuperabile con concessioni di facciata, sarebbe meglio tentare di andare per le spicce piuttosto che illudersi sulla possibilità di trovare una soluzione di compromesso. È davvero garantita la tutela dei civili o i raid dei "volenterosi" mettono a rischio una parte della popolazione?Èi mpossibile garantire la tutela assoluta dei civili durante le campagne militari. Le operazioni militari comportano sempre, inevitabilmente, delle vittime civili. Ogni attività umana è ovviamente esposta al rischio dell’incertezza e dell’errore, e le operazioni belliche non sfuggono a questa regola, per quanto le si pianifichi con la massima cura e ci si muova con lo specifico obiettivo di minimizzare le perdite collaterali. Le campagne aeree e missilistiche offrono il vantaggio di minimizzare i rischi per chi le mette in atto e di fornire un impatto simbolico assai minore rispetto ad azioni combinate aria-terra. Il grado di precisione raggiunto dai moderni sistemi d’arma è sicuramente notevole: missili da crociera possono essere lanciati da migliaia di chilometri di distanza e raggiungere l’obiettivo prefissato con lo scarto di pochi metri. Ma lo scopo di tale precisione è di colpire nella maniera più efficace (letale) possibile il bersaglio, non quello di ridurre i danni collaterali. Ovviamente, i comandi alleati cercano di limitare al massimo le vittime civili. Sia perché l’effetto negativo dell’uccisione di civili inermi potrebbe essere molto superiore al vantaggio ricavato dalla raggiunta distruzione dell’obiettivo militare, sia perché la cultura dei militari occidentali impegnati in combattimento è nutrita dei medesimi valori degli altri componenti delle società da cui loro stessi provengono. Gheddafi questo lo sa benissimo e, non a caso, fa ampio ricorso ai cosiddetti "scudi umani", cioè all’impiego esplicito, esibito, di civili posti a protezione di obiettivi sensibili. È un gioco sporco, ma nei conflitti asimmetrici non rappresenta certo una novità: lo abbiamo visto all’opera in Iraq ai tempi di Saddam. Sono le regole della "guerra tra la gente", che cerca di ridurre in questa maniera il gap tra i contendenti. Ripugnante, senza dubbio; ma altrettanto efficace. Lo abbiamo constatato ieri quando alcuni aerei della Royal Air Force hanno rinunciato a portare a termine la propria missione di bombardamento per evitare una strage di civili. Non sempre sarà possibile farlo. Nei giorni dello sbarco in Normandia, la popolazione civile francese patì un numero di perdite maggiore di quello delle truppe alleate e tedesche, proprio a seguito dei bombardamenti degli alleati che li avrebbero liberati dal giogo nazista.
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