sabato 7 marzo 2015
​Di fronte all'ipotesi di un blocco navale davanti alla Libia il cardinale invita a ripensare la logica con cui affrontare il problema dei profughi in fuga.L'inviato Onu insiste: blocco navale Il direttore di Frontex: Babele umana in cerca di salvezza
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L’Italia faccia un blocco navale davanti alla Libia con l’aiuto dell’Onu. Lo chiede l'inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano Bernardino Leon. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni risponde che c’è già una presenza della Marina italiana e che "se ci sarà un accordo" a Rabat tra le fazioni libiche l'Europa dovrà “rafforzare la presenza navale di controllo e di salvataggio in mare”. Sulla questione interviene il cardinale Francesco Montenegro, a capo della commissione Cei per le migrazioni, che ribadisce il no a un'azione di respingimento e chiede invece attenzione per le persone in fuga da fame, guerra e persecuzioni. «Io credo che continua la logica del respingimento, quando ci siamo resi conto che questa marea non si può fermare. Quindi, ora fare un blocco, credo che significhi assumersi una responsabilità enorme! Questa gente è scappata dalla propria patria perché vuol vivere meglio, e noi diciamo loro: “Ora fermatevi!”».

Secondo lei, che cosa manca in questo momento? Una seria azione politica anche europea verso la Libia, per far sì che le varie fazioni trovino un accordo? «Io ritengo che noi stiamo pagando in parte la logica dell’indifferenza che ha guidato un po’ l’Europa e gli altri Paesi. Perché, quando ci siamo accorti che questo flusso non poteva essere fermato, là ci volevano quelle norme e quelle leggi che avrebbero potuto permettere un’accoglienza diversa. Invece, siamo stati tutti al balcone. L’Italia ha affrontato il problema con i suoi mezzi e ha cercato di fare sempre il meglio, anche se limitato perché questo problema è di tutti». Sono mancati canali umanitari certi. Insomma, il problema è stato affrontato all’ultimo, secondo lei? «Sì: per me bisognava affrontare prima determinati problemi e avere più serenità nell’affrontarli. Sa, quando io mi vedo 10-11 mila stranieri in un’isola come Lampedusa, mi devo chiedere come e perché. Ma l’Europa s’è girata quando ci sono stati i morti; i morti continuano, ma continuiamo a fare accademia». A suo avviso il quadro sarebbe stato diverso con “Mare Nostrum” rispetto a “Triton”, che ha essenzialmente il compito di vigilare sui confini europei? «Ma “Triton” non si poggia sul piano “difendiamo i confini”? L’accoglienza non è mai un atteggiamento di difesa, è un andare incontro e vedere in che modo poter sistemare. A noi sta venendo la paura di tutte queste persone che ci sono, che stanno arrivando: ma queste persone vogliono andare in Europa, sono poche quelle che si vogliono fermare in Italia».
(intervista di Alessandro Guarasci, Radio Vaticana)

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