sabato 6 aprile 2019
La diplomazia continua a trattare, la conferenza nazionale di metà aprile è confermata. Ma sul terreno si registrano sempre più scontri, anche alla periferia della capitale, e bombardamenti
Le truppe del Libyan National Army, guidato del generale Haftar, mentre avanzano a sud di Tripoli (Ansa)

Le truppe del Libyan National Army, guidato del generale Haftar, mentre avanzano a sud di Tripoli (Ansa)

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L’esile filo diplomatico non si è spezzato del tutto. La mediazione, nonostante il (modesto) “clamore” delle armi va avanti. A dirlo è stato l’inviato speciale Onu per la Libia, Ghassan Salamé. La Conferenza nazionale sulla Libia, in programma dal 14 al 16 aprile a Ghadames, nel sudovest del Paese, sotto l’egida delle Nazioni Unite, si terrà comunque. «Siamo determinati a organizzarla nella data prevista a meno che le circostanze non ce lo impediscano», ha detto Salamé parlando in conferenza stampa a Tripoli. La notizia è arrivato il giorno dopo la partenza del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres che in Libia ha incontrato il premier Fayez al-Sarraj a Tripoli e il suo “nemico” Khalifa Haftar a Bengasi.

Una missione che sembrava fosse naufragata nel ventre molle dei veti incrociati tra le fazioni, le milizie e i clan che si spartiscono il Paese. La ripresa del lavorio diplomatico appare come un segno, come un indizio: l’azione del “generalissimo” e del suo Esercito di liberazione libico, iniziata a pochi giorni dalla Conferenza, potrebbe essere una sorta di partita a scacchi, una prova di forza per strappare al tavolo dei negoziati più ampi margini di azione (e di potere). L’obiettivo di Haftar sembra trasparente: negoziare, con le armi in mano. Il generale si dice «pronto a prendere la capitale». E assicura che «unità speciali saranno incaricate di garantire la sicurezza delle imprese straniere e locali, delle sedi diplomatiche e delle istituzioni economiche straniere».

Intanto anche l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha lanciato l'allarme per i civili libici, si temono nuovi sfollati, e per i migranti detenuti nei campi in cui vengono rinchiusi coloro che cercano di arrivare in Europa, mentre i convogli militari si sono avvicinati a Tripoli. L'Oim sottolinea che quest'anno 1.073 migranti, tra cui 77 bambini, sono stati rimandati in Libia dopo intercettazione e soccorsi in mare e posti in detenzione arbitraria.

Sul terreno, il confronto militare continua attorno all’aeroporto internazionale di Tripoli, in disuso dal 2014. Entrambi le parti ne hanno rivendicato la conquista. Due giorni fa ci sarebbe stata la presa da parte delle forze di Haftar. Ieri, invece, il ministro dell’Interno, Fathi Bashaga ha sostenuto che le forze fedeli a Sarraj hanno ripreso il controllo della struttura. Smentito dalla fazione avversaria.

Le forze armate di Haftar avrebbero, poi, subito un attacco aereo a sud di Tripoli. «Condanniamo in modo forte il raid aereo avvenuto nella regione di al-Aziziya», a circa 50 chilometri a sud di Tripoli, da parte di un aereo che era decollato da Misurata nell’ovest, hanno fatto sapere le forze pro Haftar. «Aggressione» che ha spinto il generale a decretare una no-fly zone sulla parte ovest del Paese. «L’unità di crisi delle Forze dell’aria annuncia che la regione occidentale è una zona militare dove l’aviazione è interdetta e qualsiasi aereo militare o drone sarà considerato un obiettivo nemico», si legge sulla pagina Facebook del portavoce dell’Esercito nazionale libico, Ahmed Mismari.

Secondo fonti di Misurata, altri attacchi potrebbero registrarsi anche nel sud e nell’Est per colpire concentramenti di forze haftariane e le loro vie di rifornimento. Scontri sarebbero stati registrati, poi, ad Ain Zara, un quartiere sud-orientale di Tripoli a 12 chilometri in linea d’aria dal centro sul lungomare della città. Gli uomini del generale si sarebbero ritirati da al-Aziziya, località alle porte di Tripoli, verso Gharian, dove erano entrati giovedì senza combattere. Sarebbero 14 i soldati rimasti uccisi.

La comunità internazionale continua a chiedere di fermare le armi. I Paesi del G7 hanno espresso «la più forte preoccupazione» per quanto sta accadendo. Gli Usa hanno fatto sapere che «non appoggiano» l’operazione militare in corso. Ieri si è alzata anche la voce del presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, considerato uno degli sponsor di Haftar: «È necessaria un’azione urgente e mobilitare gli sforzi per fermare il deterioramento della situazione in Libia e la diffusione di organizzazioni estremistiche nel Paese».

Ma esiste ancora una Libia? Leggi il commento di Giorgio Ferrari - clicca qui



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