mercoledì 18 maggio 2011
Shukri Mohammed Ghanem sarebbe fuggito in Tunisia. Un C-130 italiano «bombarda» Tripoli di volantini per invitare i fedelissimi alla resa. Nato smentisce nave colpita.
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Piovono bombe dall’alto, si moltiplicano le defezioni nel governo, i ribelli mantengono le posizioni e presto un mandato di cattura internazionale potrebbe inseguire Muammar Gheddafi in ogni parte del mondo. Il regime libico è ormai alle strette e prende sostanza, ogni giorno di più, l’ipotesi che la sua fine sia veramente questione di settimane.La richiesta di un mandato di cattura nei confronti del rais, avanzata lunedì dal procuratore capo Luis Moreno-Ocampo alla Corte penale internazionale dell’Aja, è il segnale di una svolta. E si vanno chiarendo i dettagli dell’iniziativa. Tra le fonti di prova indicate dal procuratore c’è anche il “Trattato di amicizia Italia-Libia”, che, come altri accordi siglati in passato dal regime con diversi potenze economiche, testimonierebbe come il Colonnello abbia beneficiato in questi anni di appoggi politici, finanziari e militari da Paesi “amici”.Si tratta dell’allegato “9.90”. In tutto 26 pagine inserite nella serie di documenti sul sostengo internazionale del quale il Colonnello ha potuto godere fino alla vigilia degli scontri. Con il trattato, firmato a Bengasi da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto 2008, l’Italia si impegnava a realizzare in Libia progetti infrastrutturali per 5 miliardi di dollari, con un impegno annuale di 250 milioni di dollari per venti anni. Ma nell’accordo non si parla solo di patti industriali ed energetici. L’articolo 20 tocca infatti il nervo scoperto della «collaborazione nel settore della difesa». Il Trattato, si legge nel testo ripreso dalla Corte penale internazionale, prevede «la finalizzazione di specifici accordi relativi allo scambio di missioni tecniche e di informazioni militari, nonché lo svolgimento di manovre congiunte». Non solo, Roma e Tripoli si impegnavano «ad agevolare la realizzazione di un forte e ampio partenariato industriale nel settore della difesa e delle industrie militari». La denuncia al Cpi rende evidente come il vento a Tripoli stia cambiando. E lo sanno, meglio di chiunque altro, i gerarchi di Stato che, uno allo volta, stanno voltando le spalle al rais. Dopo il ministro della Giustizia Mustafa Abdel Jalil (passato con i ribelli e divenuto segretario del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi), dopo quello degli Esteri Moussa Kussa (fuggito a Londra il 31 marzo); dopo decine di ambasciatori e diplomatici, questa settimana è stato il ministro del Petrolio Shukri Mohammed Ghanem (che è anche presidente della National oil corporation), ad andarsene da Tripoli. Secondo fonti vicine al governo tunisino, avrebbe attraversato in auto il valico di frontiera di Ras Jadir il 14 maggio per riparare in un hotel di Djerba. La tv al-Arabiya ha detto che sarebbe «passato con gli insorti», ma da Bengasi, un portavoce del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) ha detto che «per il momento non ci ha fatto sapere di volersi unire a noi». Peraltro, non ha nemmeno cercato di contattare le autorità tunisine, lasciando un alone di mistero intorno alla sua defezione, che, sinora, ha tutta l’aria di una semplice fuga da un apparato di governo che sta ormai affondando. Ghanem, 69 anni, è un veterano del regime, ed è anche fra i cinque alti rappresentanti libici i cui beni erano stati congelati dagli stati Uniti nell’aprile scorso. Già a marzo si erano sparse voce sulla sua defezione, poi smentite da lui stesso. Questa volta, nonostante il governo di Tripoli abbia negato («non abbiamo alcuna notizia del fatto che si sia dimesso, abbia defezionato, o altro»), la sua fuga sembra cosa certa. Se confermata, sarebbe anche il “prodotto” di un intenso pressing in questo senso avviato recentemente dalla Nato che, oltre a insistere con i raid sui siti militari di Tripoli (anche ieri forti esplosioni si sono udite vicino al compound di Bab-al-Azizia, dove si trova il bunker di Gheddafi), sta “bombardando” la capitale di volantini – circa 140mila, lanciati da un C130 italiano – e messaggi radio per chiedere ai fedelissimi del regime di arrendersi e invitare la popolazione civile ad allontanarsi dai centri di comando. Una “guerra psicologica” che, hanno spiegato i comandi Nato di Bruxelles, «sta dando i suoi frutti». Come pure sembra portare a risultati importanti il lavoro fatto dai caccia alleati: ieri il ministro della Difesa francese, Gerard Longuet, ha fatto sapere che l’aviazione militare libica è stata «annientata, con più dell’80% dei velivoli fuori servizio, restano solo degli elicotteri», e che l’esercito di terra ha subito «pesanti perdite, con la distruzione di un terzo del materiale pesante e di circa il 50% degli stock di munizioni». «Solo la marina è stata risparmiata – ha aggiunto Longuet –, ma non rappresenta un grande pericolo e le navi o sono rimaste nei porti o non rappresentano una grande minaccia».NATO SMENTISCE NAVE COLPITAUn funzionario della Nato ha smentito le notizie date dalla televisione libica secondo la quale una nave dell'Alleanza Atlantica è stata colpita di fronte a Misurata. La Nato ha affermato che l'informazione «è completamente inventata». «È una notizia completamente priva di fondamento», ha detto il funzionario. «Abbiamo contattato il nostro quartier generale a Napoli che ha verificato che non ci sono navi della Nato abbastanza vicine alla costa (libica) da poter essere raggiunte dai colpi sparati dalle forze filo-Gheddafi», ha spiegato la stessa fonte. Il funzionario ha inoltre fatto notare che «la notizia» arriva 24 ore dopo che una nave della Nato è riuscita a impedire un attacco dei governativi a Misurata con barche d'assalto.
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