lunedì 10 agosto 2020
Sono oltre un milione le persone ospitate nel Paese: un quarto della popolazione. Allo stremo per il collasso economico, ora devono affrontare la nuova crisi innescata dalla catastrofe del 4 agosto
Macerie nel centro di Beirut

Macerie nel centro di Beirut - Ansa

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Quella del Libano è una storia, faticosa e sofferta, decade dopo decade, di accoglienza forzata nei confronti di chi, poco più in là del confine, non ha più niente. E di convivenza obbligata dagli eventi e diventata incubo, nell’indifferenza della comunità internazionale. L’ultima onda lunga di disperati a riversarsi nelle terre che furono dei Fenici è iniziata nove anni fa, allo scoppiare del conflitto civile siriano, e non si è ancora né esaurita né ritirata: i profughi siriani che hanno cercato rifugio nel vicino Libano ammontano oggi a un milione e mezzo di persone. In realtà potrebbero essere anche due milioni, complice il business scellerato dei trafficanti di uomini sul confine con la Siria. Una cifra in ogni caso spaventosa per il Paese ospite, una fragile e piccola repubblica abitata da 4 milioni di cittadini. Come se l’Italia ospitasse 20 milioni di profughi provenienti da un unico Paese. La domanda, ora, è: cosa ne sarà di loro?
I più fortunati fra i rifugiati siriani presenti in Libano, tutti ammassati in campi profughi (non strutture organizzate, per evitare che i rifugiati, da ospiti temporanei, possano diventare residenti come accaduto con i palestinesi), hanno trovato possibilità occupazionali nell’agricoltura, nell’edilizia e nei lavori di assistenza domiciliare. Si parla comunque di una quota che non eccede il 55-60%. E soprattutto di persone che, ogni giorno, escono dalle baraccopoli in cui sono ammassate e vi fanno ritorno al calare del sole, se tutto va per il meglio. Negli ultimi mesi, con l’emergenza da nuovo coronavirus, i casi di arresti arbitrari, abusi, torture, intimidazioni da parte di polizia e militari nei confronti dei profughi siriani fermati al di fuori delle loro tendopoli sono aumentati in modo vertiginoso. Per chi poi non ha ancora un lavoro alla luce del sole, la sopravvivenza è appesa a impieghi illegali, sussidi statali e, più spesso, aiuti umanitari forniti da Ong e associazioni private.
La storia dei rifugiati siriani privi di reddito stabile incrocia infatti quella altrettanto triste e senza apparente via d’uscita di altri senza patria, solo parzialmente integrati nel tessuto sociale ed economico libanese: le cifre ufficiali parlano di circa 18.000 altri rifugiati fra iracheni, sudanesi e yemeniti. Ma i conti non tornano, un controllo anche grossolano contraddice tali stime: prendendo in considerazione il caso dei soli iracheni, per le agenzie internazionali ve ne sarebbero fino a 100.000 nel solo Libano. È evidente che migliaia di invisibili, privi di documenti, sopravvivono sul suolo libanese venendo ogni giorno a compromessi con la propria dignità di esseri umani. Ed è sempre l’Onu a censire, mediante l’Unrwa, 475mila persone di origine palestinese in Libano. Davvero troppo per un’economia al collasso, come attestava, già a fine 2019, il Global focus dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur): l’anno scorso hanno ricevuto assistenza diretta dall’Onu 260mila famiglie vulnerabili, rifugiate e non. Cifre destinate ad aumentare in questo 2020 horribilis.

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