venerdì 13 novembre 2015
Libano, doppio attacco nel feudo di Hezbollah: 200 i feriti. L'Is ha rivendicato.
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Gli attentati tornano a scuotere Beirut. Ieri sera, almeno due kamikaze (alcune fonti parlano però di tre o quattro) si sono fatti esplodere, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, nella periferia sud della capitale libanese, tradizionale roccaforte del partito Hezbollah. E – secondo il Site, il sito di monitoraggio dell’estremismo islamico sul Web – ci sarebbe anche la “firma”: quella inquietante dell’Is. Erano oltre 16 mesi che non si registravano attentati in questa zona popolata in maggioranza da sciiti. La duplice esplosione è avvenuta sulla vecchia strada dell’aeroporto internazionale, non lontano dal campo palestinese di Burj al-Barajne e dall’ospedale Al-rasul al-Aazam (il maggiore profeta), gestito sempre da Hezbollah. Il bilancio – ancora provvisorio – è di 41 morti e almeno 200 feriti. Tra loro anche un terzo kamikaze che non sarebbe riuscito a farsi esplodere, freddato dalle forze dell’ordine. È attacco più sanguinoso dal 2007. L’area era già stata oggetto di attentati rivendicati da gruppi jihadisti sunniti che intendevano così rispondere all’attivo coinvolgimento militare di Hezbollah nel conflitto siriano, a fianco di Bashar al-Assad.Anzi, gli attentatori non hanno esitato in passato a colpire quello che ritengono lo “sponsor”, militare e finanziario, di Hezbollah. Così, il 19 novembre 2013, un kamikaze si è lanciato contro la sede diplomatica di Teheran a Beirut provocando 25 morti. Presente su diversi fronti siriani, da al-Qalamun ad Aleppo, Hezbollah avrebbe perso almeno mille membri nei combattimenti in corso nel Paese vicino. È giunta invece la condanna dell’ex premier libanese Saad Hariri. «Colpire i civili – ha detto il leader sunnita – è vile e non ha giustificazioni». Saad Hariri, figlio ed erede politico di Rafic Hariri, ucciso in un attentato a Beirut nel 2005, vive da tempo lontano dal Libano per motivi di sicurezza. Martedì era intervenuto in extremis per convincere i due maggiori partiti cristiani – la Corrente nazionale libera di Michel Aoun e le Forze libanesi di Samir Geagea – a rinunciare alle proteste di piazza previste contro la mancata discussione in Parlamento di una nuova legge elettorale. Un intervento, questo, che ha attenuato tantissimo le tensioni che rischiavano di trascinare il “Paese dei cedri” nel baratro di una nuova contrapposizione tra cristiani e musulmani. Ieri, i deputati libanesi – di tutti gli schieramenti politici – hanno osservato un minuto di silenzio per le vittime del duplice attentato.Le tensioni, invece, tra sunniti e sciiti non sembrano placarsi, e sempre in relazione alla guerra in Siria e alla contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita in vista di un’eventuale soluzione politica. La nuova ondata di attentati avviene in un clima di stallo istituzionale che vede vacante, dal 25 maggio 2014, la carica di presidente della Repubblica, tradizionalmente affidata a un cristiano maronita, proprio per l’incapacità dei deputa- ti libanesi di trovare un accordo sul nome de successore di Michel Suleiman. La settimana scorsa, un attentato ha devastato la cittadina di Arsal, nella Beqaa settentrionale, provocando l’uccisione di diversi dignitari religiosi sunniti, tra cui alcuni siriani. Arsal, cittadina sunnita vicina al confine con la Siria, ha accolto decine di migliaia di profughi siriani, ma anche militanti del Fronte al-Nusra e di altri gruppi che da mesi tengono in ostaggio decine di militari libanesi. Sconvolto da diverse crisi sociali (da quella della spazzatura fino alla crescente disoccupazione) nonché dall’impatto negativo della presenza sul suo territorio di circa un milione e mezzo di profughi siriani (tra cui 400mila ragazzi che frequentano le scuole pubbliche libanesi), al Paese dei cedri non serviva certo anche un deterioramento delle condizioni di sicurezza. E ancora una volta a minacciare è di nuovo l’Is.
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