venerdì 1 febbraio 2013
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Caro direttore,di fronte a drammi come quello che sta vivendo Asia Bibi, si vorrebbe essere Leonora, la protagonista del Fidelio di Beethoven, che penetra, travestita, nella prigione dove il marito è segregato dalle autorità e lo libera. Sembra inverosimile che oggi una donna pakistana, una donna come tante, con un marito e cinque figli, sia reclusa dal giugno del 2009 e condannata a morte per impiccagione perché accusata ingiustamente quanto assurdamente di «blasfemìa» contro Maometto. «Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico delitto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica» ha scritto nella sua lettera dal carcere che non sapeva nemmeno se sarebbe mai arrivata a qualcuno. «Vieni, speranza», si invoca nell’opera di Beethoven. Lo ripetiamo all’infinito. Speranza che gli appelli provenienti da tutto il mondo vengano ascoltati, speranza che la ragione e la responsabilità vincano su leggi in cui i cittadini stessi di quel Paese non possono riconoscersi, speranza che le libertà associate ai diritti umani e civili smettano di essere un’utopia, o un privilegio di alcuni. Speranza che la liberazione di Asia Bibi non debba più essere una speranza o, peggio, una fantasia.
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