domenica 27 marzo 2016
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ISTANBUL Documenti abbandonati da miliziani del Daesh in ritirata nel nord della Siria, e ritrovati dai combattenti curdi, uniti alle testimonianze di jihadisti catturati, provano i legami fra la Turchia e il Califfato nel commercio del petrolio. Testimonianze e documenti raccolti da RT, il canale satellitare russo che ha inviato una propria troupe nell’area e rilanciati da AsiaNews. Una “verifica” sul campo delle accuse più volte rivolte dal Cremlino. Carte rinvenute dai curdi delle Unità di protezione popolare ( Ypg) nell’assalto alla città di Ash Shaddadi, nel quale sono stati catturati diversi “foreign fighters” provenienti da Turchia e Arabia Saudita. Un’altra conferma dei rapporti fra Daesh e Ankara. Accanto a una organizzazione militare di primo livello, il Daesh dimostra una organizzazione impensabile senza l’appoggio logistico e finanziario dall’esterno: fra i Paesi fiancheggiatori del Califfato – assieme ad Arabia Saudita e Qatar – vi è proprio la Turchia, che pur dichiarandosi nemica giurata dei jihadisti, nei fatti li favorisce. Ciascun fascicolo finito nelle mani dei curdi indica il nome dell’autista, il veicolo utilizzato oltre che il prezzo di vendita e il numero della fattura. Una di queste è datata 11 gennaio 2016 e rivela che il Daesh ha estratto circa 1.925 barili dal pozzo di Kabibah, vendendoli per 38.342 dollari. La troupe di RT intervista pure dei civili, costretti a lavorare per l’industria petrolifera del Daesh. «Il greggio estratto – racconta una fonte – veniva portato in una raffineria, per essere trasformato in gasolio e altri prodotti petroliferi». In previsione della vendita «venivano intermediari da Raqqa e Aleppo che raccoglievano il petrolio e spesso parlavano della Turchia» come meta finale. Un jihadista, prigioniero turco, conferma che «il petrolio estratto da Daesh viene venduto in Turchia ». Quantità «tali che le autorità» di Ankara «non possono non esserne al corrente». Un combattente curdo mostra una collezione di passaporti prelevati dai cadaveri dei jihadisti uccisi in battaglia: miliziani del Bahrain, Libia, Kazakistan, Russia, Tunisia e la stessa Turchia. La maggior parte è entrata in Siria e Iraq passando proprio attraverso i confini turchi, che il più delle volte non sono pattugliati e consentono un facile attraversamento. Un pozzo di perolio siriano
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