sabato 4 marzo 2017
Il popolo chinanteco dell’Oaxaca ha cominciato una battaglia – per il momento solo d'immagine – per difendere i ricami tradizionali dalle aziende di moda che li stanno commercializzando senza permesso
L'aquila ricorda il mito della fondazione del popolo chinanteco

L'aquila ricorda il mito della fondazione del popolo chinanteco

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«Ci rubano la nostra tradizione per venderla al miglior offerente». Il popolo chinanteco dell’Oaxaca, nel sud del Messico, ha cominciato la sua battaglia – virtuale – per difendere i propri ricami tradizionali dalle aziende di moda. Il piccolo villaggio di San Juan Bautista Tlacoatzintepec ha pubblicato su Facebook le foto di alcuni modelli realizzati da una casa spagnola. Con un durissimo commento: “Hanno copiato i nostri disegni”. Immediatamente, il post è stato condiviso da migliaia di utenti e ha fatto il giro del mondo. Per gli indigeni, il presunto plagio rappresenta un’offesa alla propria cultura.

«Non sanno che cosa significhi quei ricami». Già, perché sulle bluse delle donne – gli huipil –, gli indigeni tessono la propria storia. La greca – motivo ornamentale caratterizzato dalla ripetizione dei segmenti – ad esempio, sintetizza il continuo spostarsi degli indios. Mentre l’aquila ricorda il mito della fondazione del popolo chinanteco. Stilisti e atelier, invece, impiegano i disegni a caso, in base al puro gusto estetico. Per proteggere “il marchio” chinanteco, Horacio Reyes, ha ideato un gruppo che aiuta gli artigiani nativi a vendere il proprio lavoro nel mondo. Attraverso una pagina Facebook, gli huipil sono venduti in altre zone del Messico o all’estero. In tal modo, «abbiamo aumentato i guadagni per i produttori, in gran parte donne.

Prima gli huipil venivano comprati a 250 pesos (l’equivalente di 12 euro). Un costo infimo per un lavoro che richiede mesi», racconta Horacio. Ora, almeno, ne incassano 400. “Certo, niente in confronto a quanto la casa produttrice spagnola lo vende nei suoi negozi: 244 euro”, conclude il giovane.

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