venerdì 7 agosto 2015
Sant'Egidio raddoppia: dal progetto sull'Aids a quello di un «sistema di salute globale».
COMMENTA E CONDIVIDI
Da progetto a sistema: è questo in fondo il senso dell’evoluzione di “Dream” – la campagna per la lotta contro l’Aids lanciata in Africa dalla comunità di S. Egidio nel 2002 – in “Dream 2.0”. Un cambio di nome che intende esprimere l’effettiva possibilità di procedere allo step successivo sulla base del precedente progetto. Questi i numeri e gli esiti di quell’esperienza: 270mila le persone assistite con terapie per la lotta all’Aids in dieci Paesi dell’Africa Subsahariana, di cui 47mila minori di 15 anni; 183mila i casi in follow-up, senza contare i circa 5000 operatori sanitari formati. Ora, il “nuovo sogno” è quello di poter seguire pazienti affetti anche da malattie diverse e a volte correlate all’Aids, come anemie, epatiti, tubercolosi, malaria e alcuni tipi di tumore. Con l’obiettivo di allargare il bacino da monitorare e offrire un modello di buona sanità globale per tutto il Continente. Un’idea, questa, addirittura inconcepibile in molte zone del Continente prima dell’arrivo del progetto.  Su questa base nasce anche il cambio di acronimo: ciò che era Dream, ovvero Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition  (potenziamento delle risorse medicinali contro l’Aids e e la malnutrizione), diventa ora Disease Relief through Excellent and Advanced Means, ossia liberazione dalle malattie attraverso mezzi avanzati e di eccellenza, “Dream 2.0”, appunto. «Del resto – spiega il direttore esecutivo del progetto, Paola Germano – questo è uno degli obiettivi posti anche dall’Onu e dall’Organizzazione mondiale della Sanità. E accoglie l’invito alla globalizzazione della solidarietà che è spesso oggetto degli interventi di papa Francesco».  Dream 2.0 è stato presentato a luglio dal presidente della Comunità di S. Egidio Marco Impagliazzo a Maputo, capitale del Mozambico, Paese dove nel 2015 si è registrato un risultato eccezionale: nei 12 centri seguiti da S. Egidio nessun bambino nato da madre sieropositiva è risultato malato. «Quella di Maputo è stata una presentazione pubblica – continua Germano –, di fatto il lavoro di Dream 2.0 è già cominciato da un po’. Di tubercolosi ad esempio ci occupiamo già da un paio di anni. Stesso discorso per le malattie cardio-vascolari. Da tempo affrontiamo anche il problema dei tumori femminili». Il lancio ufficiale servirà anche per cominciare a lavorare con i governi in maniera più organica perché «non possiamo risolvere da soli tutti problemi».  Un esempio di come la direzione presa stesse già andando oltre la sola cura dell’Aids è il caso di ebola in Guinea Conacry: «In un anno e mezzo ci siamo dovuti adattare ai problemi posti dall’epidemia, e adesso siamo stati inseriti nella rete delle Nazioni Unite per la prevenzione dell’ebola in Guinea – dice ancora Germano –. Eppure non ci occupavamo specificatamente di ebola ma avevamo un sistema che ha retto all’emergenza». Uno standard efficiente, un modello che funziona e fa rete con le infrastrutture pubbliche è molto utile anche per la prevenzione. In fondo questo è la “salute globale”: «Usare la nostra esperienza per allargare il campo». In poco più di dieci anni, Dream ha cambiato le linee guida internazionali sulla lotta all’Aids e intende ora giocare lo stesso ruolo per una sanità funzionale e gratuita. «La tubercolosi, il diabete, i tumori femminili sono patologie in crescita in Africa – conclude Germano – e meritano la stessa attenzione dell’Hiv».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: