mercoledì 3 giugno 2015
La Svizzera ospita circa 20mila eritrei, una delle più grandi comunità fuori dall’Africa, e da poco ha avviato un programma di accoglienza. Profughi in case e abbazie e al lavoro nei campi.
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Cosa succede ai migranti una volta arrivati in Europa? La ricollocazione e la sistemazione sono la vera sfida dell’intero continente, non soltanto dei 28 membri dell’Unione europea. La Svizzera, che della Ue non fa parte, ospita circa 20mila eritrei, una delle più grandi comunità fuori dall’Africa, e da poco ha avviato un programma di accoglienza di richiedenti asilo che prevede l’ospitalità direttamente all’interno delle famiglie. Non è la prima volta che la Confederazione elvetica sceglie questa soluzione: c’è infatti il precedente del 1973, con 250 persone fuggite durante il golpe militare in Cile. Ora i nuclei familiari che hanno aderito volontariamente al progetto sono circa 300. In Svizzera le procedure dell’asilo sono responsabilità delle autorità federali, anche se concretamente sono i cantoni che si occupano sia degli alloggi sia degli aiuti da erogare. Al momento sono due quelli che hanno accettato di ospitare in famiglia i richiedenti asilo: Vaud (di lingua francese) e Argovia (di lingua tedesca). A loro si è aggiunto il cantone della capitale, Berna, che ha appena dato il nullaosta, mentre quello di Ginevra ha mostrato interesse. Il progetto è coordinato dall’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati (Osar) ed è rivolto ai richiedenti che hanno già ricevuto un permesso provvisorio (tipo F), ma sono i cantoni che selezionano chi vi debba rientrare e che ne sono responsabili dal punto di vista amministrativo, comprese le spese per l’alloggio e l’assicurazione sanitaria. Le famiglie si impegnano a ospitare il migrante per almeno sei mesi e percepiscono dai cantoni una cifra corrispondente all’affitto, mentre il richiedente asilo percepisce una somma giornaliera per cibo e trasporti. In Svizzera l’accoglienza in strutture private, con diverse modalità, è una realtà collaudata. Tra le diverse iniziative in corso anche quella – lanciata pochi giorni fa – che prevede l’impiego nel settore agricolo. Il progetto ha una durata di tre anni ed è promosso dall’Unione svizzera dei contadini (Usc) e dalla Segreteria di Stato per la migrazione (Sem). I destinatari sono i migranti riconosciuti rifugiati, che possono così migliorare conoscenze linguistiche e competenze professionali. Al momento hanno aderito 10 aziende agricole in 7 dei 26 cantoni, mentre 15 sono i lavoratori stranieri scelti per un impiego stagionale di tre mesi prolungabile. Per tutti è previsto uno stipendio, che il primo mese è di circa 2.200 euro e durante gli altri sarà quello minimo imposto per legge, in media 3.100 euro mensili. A loro volta le aziende ricevono un indennizzo di 190 euro per le pratiche amministrative, mentre il grosso della spesa, circa 385mila euro, è a carico dell’Usc e della Sem. L’obiettivo, infatti, è quello di rendere i migranti indipendenti dal punto di vista economico, evitando così che ricorrano agli aiuti pubblici forniti dalla Confederazione elvetica: avendo un lavoro cessa il sostegno "automatico" dello Stato, come l’alloggio o la cassa malattia. L’iniziativa è stata accolta con favore, sia dall’Osar sia dall’Unione dei sindacati svizzeri, che sperano possa essere replicata in altri settori. Ci sono poi casi in cui i migranti trovano ospitalità in strutture religiose, tra cui una veramente speciale. In ottobre i media elvetici raccontarono l’esperienza dell’abbazia territoriale di Einsiedeln, una delle più celebri Pel paese, nel Cantone Svitto, di lingua tedesca, famosa per la cappella della Madonna Nera e visitata ogni anno da circa un milione di turisti. Fondato nell’anno 934, il monastero benedettino ha cominciato ospitando una trentina di eritrei. L’ultimo riassetto del settore dell’asilo prevede nuovi centri per un totale di 5mila posti per l’accoglienza dei richiedenti, in sei regioni, proporzionalmente al numero di abitanti. Tra gli obiettivi della nuova ripartizione, quello di trattare ogni richiesta in meno di 140 giorni, cioè poco più di cinque mesi.
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