martedì 18 novembre 2014
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​"Il primo terrorista è entrato mentre stavamo pregando ed ha cominciato ad esplodere colpi con una pistola gridando 'Allah u Akbar' (Dio è il più grande), pochi secondi dopo è entrato il secondo brandendo un grosso coltello da macellaio e ha iniziato a colpire chiunque avesse davanti". Joseph Pasternak, uno dei sopravvissuti all'attacco alla sinagoga del quartiere ortodosso sefardita di Har Nof a Gerusalemme, lo racconta ancora con la voce terrorizzata. La stessa paura e lo stesso sconcerto che appare negli occhi della gente ancora riunita attorno al tempio ebraico in una marea di polizia, mezzi di soccorso e agenti in borghese, mentre in cielo ancora volteggiano gli elicotteri. "Sono riuscito a scendere le scale e a rifugiarmi in cucina", dice Pasternak, un religioso padre di otto figli. "Dopo pochi minuti - aggiunge - ho cominciato a sentire le sirene e gli spari della polizia all'esterno". "Una scena terrificante, qualcosa che non avrei mai voluto vedere in una sinagoga", confessa Mati Golditz, capo delle operazioni sul terreno di Zaka, il servizio di emergenza composto da religiosi che si occupa "dell'identificazione delle vittime dei disastri". E Golditz, come dice lui stesso, ne ha viste molto di scene di violenza. Secondo il racconto di altri testimoni presenti sul posto, alcune vittime avrebbero avuto parte degli arti amputati durante l'assalto da parte dei due palestinesi originari di Jabal Mukaber, un quartiere di Gerusalemme est. "Questa è una tragedia per tutta l'umanità, anche per i terroristi: sono morti anche loro, cosa pensavano di ottenere con questo terribile atto?", sottolinea con foga David Osborne, un avvocato religioso che risiede nel quartiere e frequenta abitualmente la sinagoga. "Ora - esorta, e il tono della voce si fa più intenso - è necessario che i leader di entrambe le parti cerchino di calmare la situazione il più presto possibile". "Non possiamo accettare - conclude scuotendo la testa - altro spargimento di sangue innocente".    Per tutta la mattina la folla si è accalcata fuori dalla sinagoga Kehinat Bnei Torah ed è stata trattenuta a stento dalla polizia. Tra i molti anche un gruppo di giovani che ha chiesto con insistenza le dimissioni del ministro della sicurezza Yitzhak Aharonovich: "Perché oramai - ha detto uno di loro - non ci sentiamo più sicuri nemmeno in sinagoga". Altri, infuriati e pieni di rabbia, invocavano vendetta per le vittime al grido di "morte agli arabi". Diversi membri del parlamento israeliano sono arrivati sul posto per mostrare vicinanza alla comunità, tra questi la parlamentare Miri Regev e il capogruppo del Likud Danny Danon, che ha chiesto l'applicazione di "sanzioni economiche e il ritiro dei permessi Vip" per tutti i membri dell'Autorità palestinese. Il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, da parte sua, ha tagliato corto: "In questo momento la situazione a Gerusalemme è sotto controllo, abbiamo dispiegato agenti in borghese in tutta la città".
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