sabato 26 marzo 2016
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Il massacro di Srebrenica del luglio 1995, per il quale Radovan Karadzic è stato giudicato colpevole di genocidio dal Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex jugoslavia, è la più sanguinosa strage compiuta in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Sul banco degli imputati siedono venti persone: al momento dei fatti a Srebrenica – città a maggioranza musulmana assediata dalle forze serbo-bosniache e difesa da una zona di sicurezza presidiata dai Caschi blu olandesi dell’Onu – rimanevano 42mila persone, di cui 36mila rifugiati. Tutto iniziò l’11 luglio di quasi 21 anni fa. Scarsamente armati e privi di supporto aereo le forze Onu si rifugiarono nella vicina base di Potocari, portando con sé una parte della popolazione fuggita dalla città: i rifugiati dentro e fuori dalla base vennero però portati via dai serbo-bosniaci a bordo di autobus, e gli uomini separati dalle donne. I primi vennero rinchiusi in scuole o magazzini vuoti, per poi dopo qualche ora essere portati nei campi e fucilati a piccoli gruppi e seppelliti in numerose fosse comuni: sulle circa 8mila vittime ne sono state ritrovate ed identificate circa 6.600, ma una nuova fossa comune è stata scoperta ancora nel 2015. La comunità internazionale viene spesso accusata di aver abbandonato al proprio destino la popolazione di Srebrenica non autorizzando le incursioni aeree richieste dalle autorità bosniache; l’Olanda in particolare viene ritenuta civilmente responsabile dell’uccisione di 300 musulmani rifugiati a Potocari. Quattordici condanne di cui 5 per genocidio, sono già state emesse mentre altri due processi contro tre imputati sono ancora in corso: tra i principali condannati figurano Radislav Krstic, il generale che diresse l’attacco, primo serbo bosniaco ad essere riconosciuto colpevole di complicità in genocidio e condannato a 35 anni di carcere; il generale Zdravko Tolimir, considerato il braccio destro del comandante serbo-bosniaco, Ratko Mladic, condannato all’ergastolo.
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