venerdì 5 maggio 2017
La stretta della Casa Bianca sui visti per gli immigrati altamente specializzati sta spostando le aziende a sud del confine.
La Silicon Valley ora guarda al Messico
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La Silicon Valley non riesce a soddisfare la sua sete di ingegneri e lavoratori altamente specializzati e si sposta gradualmente in Messico. È l’effetto imprevisto della politica migratoria di Donald Trump e della sua stretta sui visti. Sta accadendo esattamente il contrario di quello che pensava la Casa Bianca: i posti di lavoro si stanno sì creando, ma in Messico, al ritmo di un paio di start up la settimana. Si chiama “nearshoring”, ed è un fenomeno per cui non si delocalizza secondo i vecchi criteri imposti dalla globalizzazione; piuttosto si creano opportunità di lavoro che permettono al cervello delle imprese di restare in territorio statunitense ed alle restanti nervature di operare a ridosso del confine. Qui stipendi e costo della vita sono inferiori, e soprattutto non arrivano i draconiani divieti imposti da Trump nella concessione dei visti H1-B.

L’H1-B è il tipo di autorizzazione all’ingresso per la manodopera più specializzata, i veri e propri cervelli in fuga da India, Colombia, lo stesso Messico e l’Europa. Trump, nel corso della sua campagna elettorale, li aveva indicati come l’ultima frontiera della truffa per entrare sul sacro suolo americano senza averne diritto. In realtà ogni inizio d’anno ne potevano usufruire non più di 85mila persone. Poche settimane e la lista era esaurita. Adesso, invece di aspettare mesi se non anni, si aspetta in ufficio che arrivi, una volta al giorno, il capo dalla California.

Tra San Diego e Tijuana ci sono 45 minuti di auto. Un breve spostamento che, nel nome della possibilità di espansione aziendale, molti quadri medio-alti sono disposti ad affrontare. Risultato: la Tech Mahindra, che è indiana ma opera da tempo in California, ora vuole raddoppiare i suoi uffici a sud del confine; la ArkusNexus si prepara a realizzare una nuova struttura per espandere il proprio campus; la iTexico apre ad Aguacalientes. Persino la Luxoft, che è svizzera, fiuta l’affare e mette in conto di raddoppiare le proprie operazioni su territorio messicano.

Se la Bassa California è naturalmente privilegiata per la sua vicinanza agli Stati Uniti, la prospettiva di attrarre lavoratori e ricchezza ha scatenato una vera e propria corsa anche in altre zone del Messico. Si aprono così nuove prospettive di sviluppo per un Paese che si troverà a fare i conti con la revisione, se non l’abolizione, del Nafta, il trattato che dai tempi di Obama ha istituito con gli Usa un’area di libero scambio, e che Trump ha fin da subito messo nel mirino.

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