lunedì 23 gennaio 2017
Si apre oggi il summit di Astana promosso da Russia, Turchia e Iran. L'Onu appoggia il vertice tra regime e ribelli, ma teme. Gil Usa ci saranno
Si tiene oggi e domani ad Astana, in Kazakistan, l'incontro di pace sulla Siria (Ansa)

Si tiene oggi e domani ad Astana, in Kazakistan, l'incontro di pace sulla Siria (Ansa)

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Dopo il triste fallimento, nel febbraio del 2014, dei colloqui di Ginevra 2 rappresentanti del regime siriano e rappresentanti dei ribelli si siedono alla stesso tavolo lunedì ad Astana per trovare una soluzione a una guerra civile che ha causato altre 200mila vittime e, tra sfollati interni e profughi, oltre 13 milioni di senza tetto. Colloqui nati, subito dopo la battaglia di Aleppo Est, su iniziativa di Russia e Turchia, con l’Iran appena un passo indietro a garantire il suo sostegno. Gli Usa non invieranno una delegazione: il dipartimento di Stato ha spiegato che Washington sarà rappresentata ai colloqui dall’ambasciatore in Kazakistan, George Krol. Per l’Onu ci sarà l’inviato speciale per la Siria, Staffan de Mistura. La articolata delegazione dei ribelli chiede solo di vedere rafforzato il fragile cessate il fuoco. Sabato il Consiglio di sicurezza ha espresso sostegno ai colloqui ma ha messo in guardia: l’iniziativa non deve oscurare i colloqui in programma a Ginevra l’8 febbraio. Intanto un’autobomba al campo profughi di al-Rukban sabato ha fatto 11 morti. (L.Ger.)

La composizione delle due delegazioni siriane riflette ovviamente gli svilupppi militari intervenuti negli ultimi mesi. Cambiamenti dovuti, in primo luogo, al diretto coinvolgimento militare nel conflitto siriano di Russia e Turchia, oggi i principali sponsor dei colloqui di Astana. Alcuni rappresentanti del regime e dei ribelli si erano già conosciuti “a distanza” l’anno scorso durante i precedenti colloqui di pace a Ginevra, sotto l’egida Onu. È il caso soprattutto dei capi delle rispettive delegazioni siriane: Bashar Jaafari, ambasciatore di Assad all’Onu e strenuo difensore della sua politica, e Mohammed Alloush che ha detto di andare ad Astana per «isolare il ruolo criminale dell’Iran».

Ecco chi è il capo negoziatore dei ribelli

Alloush non è un negoziatore qualunque. È il cugino di Zahran Alloush, fondatore di Jaysh al-Islam, l’Esercito dell’islam, una delle principali formazioni di matrice salafita, ucciso in un raid russo il 25 dicembre 2015. Da quel momento, ha ereditato la leadership della sola “ala politica” del gruppo islamista. La partecipazione di Alloush ai colloqui di Ginevra era stata fortemente contestata da Mosca, che considerava i militanti di Jaysh al-Islam dei “cugini del Daesh”, ma il suo gruppo (forte di circa 12mila uomini dislocati in varie zone) sembra essersi sganciato dall’influenza saudita per entrare nell’orbita di Ankara. Figura, infatti, tra i firmatari della tregua proclamata il 29 dicembre scorso con la supervisione di russi e turchi.

La delegazione del governo di Damasco

Della delegazione del regime fa parte anche il generale Riad Haddad, alauita come Jaafari, già capo del dipartimento Politico dell’esercito siriano. Fino al dicembre 2011, quando è stato nominato ambasciatore «straordinario e plenipotenziario» a Mosca. La sua presenza è un inequivocabile segnale di gratitudine nei confronti dell’alleato russo. Accanto ad Alloush siedono, invece, i rappresentanti di diverse fomazioni, come Munzir Saras, leader di Faylaq al-Sham (La Legione siriana, che conta 4mila uomini, attivi nelle province di Aleppo, Hama e Homs), e i delegati della Jabha al-Shamiyya (il Fronte siriano, in tutto 3mila uomini), della Prima divisione costiera (affiliata all’Esercito siriano libero, 2mila militanti), del gruppo “Fastaqim Kama Umirt”, braccio militare dei Fratelli musulmani (900-1.300 militanti), ma soprattutto della Brigata del Sultano Murad, espressione della minoranza turkmena “tutelata” da Ankara. In veste di “consigliere”, c’è il legale 30enne Osama Abu Zayd, portavoce semi ufficiale dell’opposizione.

Tutte le assenze che pesano

Ma più che dei presenti ad Astana bisogna guardare agli assenti. Desta non poco stupore il fatto che Russia,Turchia e Iran abbiano preferito farsi rappresentare da vice ministri degli Esteri o funzionari di rango minore. Rispettivamente, Mikhail Bogdanov, Sedat Unal e Hossein Jaberi Ansari. I colloqui di Astana, in definitiva, rimangono l’anticamera dei “veri” negoziati a Ginevra, in programma l’8 febbraio. Non solo. Delle sette sigle ribelli indicate dal ministero della Difesa russo all’annuncio della tregua, ben quattro si sono ritirate per protesta contro le ripetute violazioni. I dati effettivi di sostegno, forrniti con qualche vanto da Serghei Shoigu (tra 51 e 60mila ribelli favorevoli), vanno quindi rivisti al ribasso. Tra gli assenti, Ahrar al-Sham (salafiti in bilico tra i Fronte al-Nusra e gli altri gruppi islamisti, 16mila uomini), ma anche Jaysh al-Mujahedin (8mila militanti), Jaysh Idlib (6mila uomini) e Thuwwar al-Sham (2.500 uomini). Difficile prevedere con quali conseguenze. Ahrar al-Sham ha dichiarato che sosterrà le decisioni di Astana solo se saranno «nell’interesse della nazione».

La situazione: una tregua a sprazzi

Alla proclamazione della tregua, il 29 dicembre, il ministro della Difesa russo aveva precisato che «chi non deporrà le armi» verrà considerato «un gruppo terroristico», alla stregua del Daesh e dell’ex Fronte al-Nusra che non sono coperti dagli accordi. Il punto è che molte formazioni dell’opposizione che avevano sottoscritto la tregua hanno presto lamentato continui bombardamenti del regime contro le zone da loro controllate, in particolare nella provincia di Idlib e a Wadi Barada, alle porte di Damasco. Si contano almeno 200 (secondo alcune fonti) persone uccise sin dall’entrata in vigore della tregua. Pochi giorni fa, diversi organi umanitari dell’Onu hanno parlato di ben «15 aree ancora sotto assedio dove fino a 700mila persone, inclusi 300mila bambini, sono ancora intrappolati».

Il governo controlla il 35% del territorio

Il 35 per cento del territorio nazionale siriano risulta sotto il governo di Assad, un altro 35 per cento sotto il Daesh, il 12 per cento controllato dalle varie sigle dell’opposizione, incluso il Fronte al-Nusra, e infine il 18 per cento sotto le milizie curde delle Unità di protezione del Popolo. I jihadisti del Daesh sono confrontati alle formazioni filo-turche nella città di al-Bab, e ai curdi sul fronte di Tabqa, in direzione della “capitale” Raqqa. Malgrado ciò, il Daesh continua a sorprendere i suoi nemici. Il mese scorso gli uomini del califfo sono riusciti a strappare nuovamente l’area strategica di Palmira. Da alcuni giorni stanno inoltre sferrando una durissima offensiva per occupare l’enclave del regime a Deir Ezzor, sull’Eufrate, con il relativo scalo aereo militare.

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