martedì 10 aprile 2012
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​Spira pungente la brezza sulla terrazza della Cité universitaire internationale, ma per Abdul Raouf Darwich l’attesa della primavera siriana si confonde con un turbine di nostalgia e rabbia soffocate da 38 anni di esilio. Una innata insofferenza per il regime e l’impossibilità senza «raccomandazione» di un lavoro portarono il ragazzo, ora matematico un po’ guascone dell’università di Angers, via da Lathakia. La Francia, dopo l’Algeria, per una seconda vita ricominciata in miseria e precarietà.Nel 1982, dopo il massacro di Hama di Assad padre, la scelta di diventare oppositore attivo: «Il 14 aprile del 2008, quando Sarkozy invitò Bashar Assad alle celebrazioni della République, in una decina abbiamo fischiato il corteo presidenziale». Il fermo in commissariato per alcuni di loro e la passerella in tv per Darwich a denunciare «l’invito di un criminale nel Paese che vuole insegnare al mondo i diritti dell’uomo». Poi il 15 marzo del 2011 la prima manifestazione a Daraa e la speranza, dopo Tunisi e Tripoli, di una rivoluzione a Damasco. Le notizie ricevute dagli esuli o dai familiari agitano la nostalgia: «La piazza del Châtelet è la nostra Tahrir. Tutti i sabati, da un anno, ci troviamo là», dice avvolto in un maglione verde sbrindellato il presidente del “Collettivo 15 marzo per la democrazia in Siria”. Da Parigi, più che una meta, pare un miraggio: «Il Cns è nato contro tutte le regole democratiche cooptando Fratelli musulmani e alcuni indipendenti, ma trascurando esuli storici. Il Comitato nazionale per il movimento democratico dialoga con un regime con cui non si può dialogare». Divisi e senza veri leader – ammette – ma dopo 40 anni di pugno di ferro chi non lo sarebbe? L’eco della feroce repressione accende la rabbia: «Ma dov’è la coscienza del mondo. Merde, aiutateci a sbarazzarci di quel criminale».Al Cafè Rotondo, alla Porte d’Orlèans, Salim Awabone tiene sul tavolino un manifestino del 1982. “Tutti alla manif” a Saint Germain-des-Prés, «per denunciare i massacri in tutte le città siriane e in particolare ad Hama». La prima protesta di sempre all’estero contro Hafez Assad: «Eravamo circa 500 fra siriani e francesi. Poi arrivarono gli uomini dei servizi segreti dall’ambasciata che ci aggredirono». Duecento agenti guidati dall’addetto militare Hassam Ali: gli 8 manifestanti feriti a colpi di spranga e coltello gli costarono l’espulsione dalla Francia.Awabone, non era certo lì per caso: baathista durante gli studi in filosofia, nel 1963 contestò la presa del potere dell’esercito: l’esilio in Libano fu la conseguenza. Quando i siriani giunsero a Beirut il suo nome era sulla lista nera. Baghdad il nuovo rifugio, dal 1980 la Francia: imbianchino e “sans papier” crescendo 4 figli. La primavera araba? «Sono 40 anni che l’aspetto, mi ha stupito solo la data». Ora è pure lui è nel Collettivo 15 marzo: «Saranno i rivoluzionari in Siria a scegliere la nuova classe dirigente». L’obiettivo è uno solo: che Assad se ne vada. E ora ogni giorno potrebbe essere quello buono.Periferia di Lione, comune di Vaux-au-Velin. Per strada, fra i casermoni, si incontrano donne velate come giovani dal look da rapper. Nella palazzina che, in nome della “laicitè” accoglie una trentina di associazioni, è riunito il direttivo di “Free Syria Lione”. Alatrash Bassem, 44 anni di cui 20 in Francia, è il presidente: «Nel maggio scorso, sull’onda delle notizia da Daraa, la prima manifestazione pubblica». Un tam tam al ritmo di sms, manifesti all’università e alle porte della moschea. Erano in 2.800 alla manifestazione più riuscita la scorsa estate, qualche centinaio ai successivi appuntamenti mensili. «Nella regione siamo 10mila siriani: circa 5mila sono anti-Assad, ma molti hanno ancora paura di uscire allo scoperto. Altri 5mila sono pro-Assad, per paura o convinzione». Ma il passa parola è proseguito: a dicembre la nascita dell’associazione con statuto e cariche sociali. «Siamo fra i meglio organizzati: 80 iscritti, 300 sulla mailing list e contatti con tutta la Francia e con associazioni di siriani in Italia, Inghilterra, Spagna». Nel direttivo pure francesi, un tunisino e Tahar Houhou, algerino. Il fondamentalismo in futuro? «Noi siamo per uno stato democratico e pluralista. Comunque è un rischio da correre pur di far cadere il regime», afferma. Conferenze e concerti ogni due settimane oltre ai cortei: finora sono stati raccolti 3mila euro per aiuti umanitari: «Una cifra irrisoria, quello che conta è la sensibilizzazione». Per questo un gruppo analizza i video e li mette su Internet. La riunione finisce a notte. Assad è un muratore di 25 anni: «Sono militante da quando ne avevo 16, prima per la Palestina, ora per la democrazia in Siria».
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