domenica 11 settembre 2022
In 15 dei 56 Paesi il sovrano è ancora capo di Stato Il campanello di allarme a novembre 2021 con il territorio insulare di Barbados diventato Repubblica
La missione urgente: salvare il Commonwealth
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La domanda che molti osservatori politici dentro e fuori dall’isola si pongono in queste ore è: reggerà il Commonwealth senza la regina Elisabetta? La tenuta della famiglia di nazioni che hanno fatto parte dell’impero britannico, e che da sola rappresenta quasi un terzo della popolazione mondia-le, è uno dei nodi più delicati che dovrà affrontare il nuovo re. Carlo III non ne è solo il presidente. In 15 dei 56 Paesi che fanno parte dell’organizzazione è capo di Stato.

Canada e Australia sono i più grandi. La sfida che lo attende è difendere la Corona dalle spinte repubblicane in atto in queste monarchie parlamentari. Il campanello di allarme è suonato a novembre 2021 quando il piccolo Stato insulare di Barbados è divento Repubblica dopo quasi 400 anni di fedeltà a Sua Maestà. Il timore è che la tentazione di dire addio alla Corona possa contagiare altre realtà. Una di queste è la Giamaica dove il vento spira forte in questa direzione già da anni e che per molti esperti dell’istutuizione sarà tra i primi a scegliere lo strappo da Buckingham Palace.

La defunta sovrana era consapevole del rischio erosione. Soprattutto nell’area del mare dei Caraibi dove il passato macchiato dallo schiavismo di era coloniale. Del resto, quando è salita al trono, nel 1952, il numero dei Paesi di cui era sovrana era 32: più del doppio di quelli che ha eredito Carlo. Il tour dei principi William e Kate, oggi designati a succedere a Carlo e Camilla, organizzato a marzo in Belize e nelle isole Bahamas per il Giubileo di Platino, è stato un mezzo flop.

L’allure reale della coppia non ha addolcito le proteste anti-coloniali della popolazione locale. La visita alla piantagione di cacao del villaggio Indian Creek, nel distretto di Toledo, fu addirittura annullata a causa delle tensioni. All’eventualità di un futuro repubblicano guardano però anche i governi laburisti di Canberra e Wellington.

Era il 2018 quando la premier neozelandese Jacinda Ardern dichiarò: «Al momento non è una priorità ma credo che riuscirò a vedere il cambiamento nell’arco della mia vita». La fattibilità dello strappo dipende dai vincoli costituzionali. In alcuni Paesi, caraibici e non, la svolta è perseguibile solo attraverso un referendum. Quello tenuto per esempio nel 2009 a St. Vincent e Grenadine, nelle piccole Antille, fallì. In Canada, invece, sarebbe addirittura necessaria una riforma da far approvare non solo al Parlamento ma, all’unanimità, anche dalle dieci province.

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