mercoledì 1 giugno 2016
Un disastro ecologico paralizza la pesca. A rischio 11mila lavoratori. Gli scienziati si dividono sulle cause del fenomeno in atto sulle coste dell’isola Chiloé.
INTERVISTA Il vescovo: «I problemi ambientali sono economici e sociali»
La «marea roja» che soffoca il Cile
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Rosso, di differenti toni e intensità. Ma anche verde marcio e giallo scuro. L’azzurro ghiaccio del Pacifico è ancora soffocato dalle insolite tinte. Gli scienziati sperano che l’inverno australe e il conseguente abbassamento della temperatura oceanica spazzi via la “marea roja” – o “marea rossa” – nei prossimi mesi. Gli effetti sulle coste del sud cileno, però, si faranno sentire ben più a lungo, sostengono gli esperti. Le immagini di pesci – ma anche foche e gabbiani – agonizzanti sulle spiagge di Chiloé e del resto della regione di Los Lagos tolgono il fiato per la loro drammaticità. Una natura morta, senso più tragico del termine. Sembra incredibile che l’unico responsabile della catastrofe sia un’alga microscopica, capace di sprigionare tossine tanto letali - del tipo Alexandrium – da uccidere la fauna ittica e far ammalare l’uomo. Finora, la sostanzakiller avrebbe “assassinato” 25 milioni di pesci e molluschi e contaminato i sopravvissuti. Tanto che le autorità hanno dovuto decretare il divieto di pesca. Paralizzando l’economia locale. Non è la prima volta che la “marea rossa” si manifesta. Dagli inizi degli anni Duemila, si è ripetuta in quattro occasioni. Mai prima d’ora, però, aveva prodotto una simile emergenza ambientale, costringendo il governo ad emettere un’allerta sanitaria. La causa – sostengono vari esperti – è il fenomeno di El Niño, conseguenza – a sua volta – del riscaldamento globale. Quest’ultimo avrebbe fatto salire anche la temperatura acquatica, consentendo la proliferazione incontrollata delle alghe. Altri esperti – sostenuti dai movimenti ambientalisti – vi aggiungono un ulteriore elemento di analisi. Negli ultimi anni si è registrato un vertiginoso aumento di nutrienti nel fondo marino come conseguenza dell’attività delle multinazionali del salmone che, su queste coste, hanno moltiplicato gli allevamenti intensivi. Lo scarico sistematico di materiale organico e sostanze azotate – in sintesi l’inquinamento – avrebbe provocato alterazioni nell’habitat oceanico, favorendo la “marea rossa”. Non solo. A peggiorare ulteriormente la situazione sarebbe stata la scelta degli stabilimenti di gettare in mare le carcasse di salmoni morti. Un fatto, al momento, al vaglio della Procura. A chiarire i dubbi, in ogni caso, sarà lo studio indipendente in corso, portato avanti da 14 esperti di differenti università, come richiesto dai pescatori dell’isola di Chiloé, i più colpiti dalla catastrofe. In 5mila hanno dovuto sospendere l’attività “a tempo indeterminato” a causa dell’alga. Ora, dopo aver bloccato la regione con uno sciopero a oltranza lungo 17 giorni, i lavoratori hanno strappato al governo della presidente Michelle Bachelet un sussidio di circa 200 dollari per i prossimi quattro mesi. Poi, nessuno sa che cosa accadrà. È possibile che a quel punto si possano di nuovo “gettare le reti”. Ma non è detto. Nel frattempo, l’economia dell’intera zona è in tilt. Le multinazionali del salmone – di cui il Cile è il secondo esportatore mondiale dopo la Norvegia – hanno dovuto fermare tre quarti degli stabilimenti. Lo stop potrebbe bruciare almeno 4mila impieghi a cui se ne aggiungerebbero altri 2.300, di manodopera at- tiva in scompartimenti dipendenti dagli allevamenti del salmone. Un totale di 11.300 licenziamenti che farebbero raddoppiare nel 2016 il tasso di disoccupazione portandolo al 5,1 per cento. Un numero inferiore ad altre zone del Cile ma comunque alto dato la poca popolazione residente nel sud. Le prospettive, inoltre, rischiano di essere ancora peggiori se, come le multinazionali temono, la produzione dovesse contrarsi del 25 per cento. La situazione preoccupa la Chiesa che ha esortato a sostenere la popolazione e realizzare modelli di sviluppo rispettosi del creato. Il governo, da parte sua, ha promesso una serie di misure per promuovere la riconversione lavorativa dei licenziati. I pescatori e gli addetti degli stabilimenti di salmone, però, temono di essere dimenticati quando finirà il clamore. Un problema antico per la gente di Chiloé. Gli abitanti chiedono da anni il miglioramento delle strutture sanitarie, in modo da non doversi recare ogni volta sulla terra ferma per curarsi. Nel 2013, la morte di una donna per mancanza di servizi adeguati, provocò un’ondata di protesta. Finora, però – dicono – ben poco è stato fatto.
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