venerdì 29 novembre 2019
Nove persone sono rimaste uccise, tra loro anche un ragazzo di 17 anni. È la terza strage in meno di un anno
(Ansa)

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Il commando è arrivato dopo il tramonto. Tutti uomini vestiti di nero e pesanti fucili a tracolla, alcuni con il volto coperto. All’improvviso hanno cominciato a fare fuoco sulla comunità di Ikabarú, nel municipio della Gran Sabana venezuelana, non lontano dal confine con il Brasile. Nove persone sono rimaste uccise, tra loro anche un ragazzo di 17 anni e un esponente della Guardia nacional.

La strage – la terza in meno di un anno, come ha denunciato il vicario apostolico del Caroní, Felipe González – è avvenuta venerdì ma solo ora è uscito dall’Amazzonia venezuelana per circolare a livello internazionale. Grazie alla determinazione dei 2.500 abitanti di Ikabarú, una zona mista dove nativi Pemón e non indigeni vivono fianco a fianco. Sono stati loro a lanciare l’allarme e a contattare varie organizzazioni indipendenti, come Provea e Foro penal.

«È stato un massacro indiscriminato. Vogliono terrorizzarci», sostengono i rappresentanti Pemón. Da tempo, essi denunciano la pressione sulla zona, legalmente riconosciuta come riserva indigena. Ikabarú, però, si trova nel cosiddetto “Arco minero”, area ricchissima di oro e altri metalli preziosi.

Dal 2016, il governo di Nicolás Maduro ne l’ha definita «zona di sviluppo strategico nazionale» e ha autorizzato l’estrazione. A oltre tre anni dall’avvio del progetto, non c’è ancora alcuna mappa completa delle concessioni accordate, fatto che fa sorgere forti dubbi sulla trasparenza dell’iniziativa. L’unico dato certo è a fornire sostegno logistico è Camimpeng, ente amministrato dalle forze armate. Nel territorio, inoltre, non si vedono aziende bensì vari gruppi armati – i cosiddetti “sindicatos” – che reclutano la manodopera e amministrano le diverse fasi del processo di lavorazione. Il tutto sotto lo sguardo indifferente dei militari. Proprio sui “sindicatos” puntano il dito gli abitanti di Ikabarú per aggiudicarsi il controllo dell’estrazione di oro, praticata su scala artigianale dalla comunità. Insolito, inoltre, come ha sottolineato l’organizzazione per i diritti umani Provea, come né i militari né i servizi segreti presenti in forza nella zona siano intervenuti per impedirlo. Pertanto è stata chiesta un’indagine imparziale per verificale eventuali responsabilità e connivenze. «Le autorità devono risolvere questi casi nel rispetto della giustizia, senza trovare comodi capri espiatori», ha scritto il vescovo González in una lettera aperta.

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