martedì 8 novembre 2016
Quarto mandato per il presidente. La vicepresidenza va alla moglie. L'opposizione denuncia record di astensione
Il presidente del Nicaragua Ortega con la moglie Murillo (Ansa)

Il presidente del Nicaragua Ortega con la moglie Murillo (Ansa)

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Il Nicaragua si è giocato molte cose alle urne, domenica. Tante le incognite da sciogliere, tranne la scelta del prossimo presidente. Quest’ultima era, in fondo, ovvia fin dall’inizio. La “vittoria inevitabile”, l’avevano definita gli analisti. E così è stata. L’ex comandante sandinista Daniel Ortega, reduce da due mandati consecutivi, è stato confermato alla guida del Paese. Il 72 per cento degli elettori – pochi, secondo fonti indipendenti, meno del 40 per cento degli aventi diritto – ha votato per lui. Il più quotato dei cinque rivali si è fermato al 14. Il partito presidenziale, inoltre, ha ottenuto il controllo dell’Assemblea. I sondaggi l’avevano ampiamente previsto. E non per particolare abilità.

A giugno, il principale sfidante Eduardo Montealegre, del Partito liberale indipendente, avversario di Ortega nel 2006 e 2011, è stato escluso dalla Corte costi- tuzionale, considerata dai critici “troppo” vicina al governo. La stessa sorte è toccata al sostituto, Luis Callejas, e alla rappresentante del Movimento per il Nicaragua, Violeta Granera. Alla fine, in corsa, sono rimaste figure di secondo piano. Facilmente sbaragliate da Ortega. Anzi dagli Ortega. Perché il nuovo presidente ha designato come vice, la consorte, Rosario Murillo. Entrambi erano ai vertici del movimento sandinista che, nel 1979, sconfisse l’ultradecenale e feroce dinastia dei Somoza. Aprendo la strada – tortuosa, certo, a volte sanguinosa – alla costruzione di un Nicaragua democratico. È paradossale che la coppia rivoluzionaria, tra gli artefici di quel sogno, sia accusata ora da opposizione, intellettuali e parte dell’opinione pubblica internazionale di fare di tutto per distruggerlo. Inaugurando a Managua una nuova “dinastia”.

Fin dal ritorno alla presidenza – dopo il mandato post-Somoza, dal 1985 al 1990 –, nel 2007, Ortega ha puntato su una leadership forte. Per isolare l’opposizione, il leader ha intessuto saldi legami con l’ex nemico: l’élite industriale. Il governo Ortega ha varato ben 105 leggi di stampo ultraliberista. Né la stabilità economica né i programmi sociali – promossi grazie al sostegno venezuelano – hanno, però, ridotto la povertà. Il Nicaragua continua ad occupare il secondo posto – insieme al Guatemala – nella classifica delle nazioni più misere d’America, dopo Haiti. Negli ultimi dieci anni, dunque, larga parte di intellettuali e simpatizzanti del sandinismo, hanno preso le distanze dal presidente, unendosi alla vasta opposizione. Quest’ultima pensava di avere buone chances stavolta, dopo due sconfitte. Nel 2014, però, Ortega ha deciso di alzare il tiro, cambiando la Costituzione per consentire la propria rielezione indefinita. Poi, in estate, l’esclusione dei rivali scomodi e, infine, degli osservatori stranieri meno “malleabili”.

Da qui la scelta dell’opposizione di disertare in massa le urne. Sugli astenuti è guerra di cifre. Secondo il governo ha votato il 65 per cento, per fonti indipendenti il 30 scarso. Non è una questione da poco. E questa sarà una dei molti nodi da sciogliere per il Paese. L’opposizione, rimasta fuori dal Parlamento, come reagirà al “regno” del dinosauro Ortega? La principale minaccia per l’ex comandante, però, è interna al suo stesso entourage: i fedelissimi non vedono di buon occhio l’ascesa della “primera dama”. Riuscirà la coppia a far fronte al malcontento?

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