La Danimarca torna socialdemocratica rubando alla destra i temi xenofobi
venerdì 7 giugno 2019

Lo chiamano «Blocco rosso», e da ieri controlla a maggioranza assoluta 91 dei 179 seggi del Parlamento danese. Punta di diamante è la quarantunenne Mette Frederiksen, non esattamente un’esordiente. A 15 anni già militava nel partito, a 26 era ministro del Lavoro e poi della Giustizia, e ora, divorziata, due figli e una giravolta spettacolare rispetto al passato, è leader incontrastata del partito e futura leader della Danimarca, dopo che le elezioni di domenica hanno tolto il primato durato 14 anni alla destra liberale del premier uscente Rasmussen e provocato il crollo del Dansk Folkeparti (Partito popolare danese), formazione xenofobo- conservatrice, dal 2001 tempo stampella, ago della bilancia e suggeritore con diritto di veto di tutti i governi liberali che si sono succeduti nel Paese della Sirenetta, del leggendario formaggino Dofo, dei raffinatissimi impianti audio-video Bang & Olufsen, dei Lego e dell’invidiabile tasso di crescita del 2,2% a fronte di una disoccupazione del solo 3,7%. Formalmente, la vittoria so- cialdemocratica aggiunge un nuovo tassello alla riscossa che si va profilando in Europa nei confronti dell’armata populista-sovranista, uscita trionfante dalle urne in Francia, Italia, Regno Unito, Ungheria e Polonia, ma di fatto impossibilitata ad apparentarsi – per troppe differenze e profonde divisioni – in una famiglia omogenea capace di superare i 100 deputati e a porsi come seconda forza politica a Strasburgo alle spalle del Partito popolare. In realtà non c’è niente da festeggiare. Perché dietro al trionfo della Frederiksen c’è una giravolta ideologica difficile da immaginare: come in una matrioska, dentro il volto solidale della tradizione socialdemocratica, si cela e si agita la medesima politica che gli xenofobi ora sconfitti avevano imposto al governo liberale di Rasmussen. Il tenore è esattamente lo stesso: i migranti e le politiche di accoglimento. Sul tema, la futura premier non lascia spazio ai dubbi: «Facciamo i conti con la realtà – ha spiegato –, ascoltiamo cosa ci dicono e cosa vogliono i cittadini: meglio tenere i richiedenti asilo in campi speciali in Africa; inutile e dannoso farli arrivare prima in Danimarca». Stupiti? Non dovreste. La Frederiksen non ha mai fatto mistero di rimodellare il partito «secondo orizzonti nuovi, adatti ai tempi». E pazienza se alle ferree restrizioni in tema di migranti adottate fino a ieri dai liberali si sovrapporranno le medesime restrizioni incarnate dai socialdemocratici oggi vittoriosi: la guida morale d’elezione sembra esser ancora una volta quel Dansk Folkeparti, penalizzato dal voto, ma con il quale la giovane leader non ha escluso di poter collaborare ancora. Ma dentro questa bambolina della matrioska ce n’è un’altra ancora: il senso comune dei danesi, atterriti all’idea di frantumare in pochi anni quel primato di Paese più felice del mondo che l’Onu le ha assegnato nel 2018 (dietro di loro, Svizzera, Islanda e Norvegia) insieme all’allarme sull’ambiente e al timore che l’invidiatissimo welfare si sfilacci ogni giorno di più. Una diffusa paura che la Frederiksen ha sfruttato trovando nei migranti il più comodo dei capri espiatori: «Per me – ha detto – è sempre più evidente che il prezzo di una globalizzazione senza regole, dell’immigrazione di massa e della libertà di movimento dei lavoratori viene pagato dalle classi meno abbienti». In pratica farà cose di sinistra su ambiente e Stato sociale e di destra sui migranti (come votare per la requisizione dei gioielli dei richiedenti asilo e il divieto del burqa e del niqab, accarezzando il progetto di rinchiudere su un isola i richiedenti asilo colpevoli di reati. Questi sono oggi i socialdemocratici danesi. Ci soccorre una fiaba di Hans Christian Andersen: in una gara a ideare la cosa più incredibile del mondo – in palio c’è la mano della principessa – un giovane costruisce un magico orologio che a ogni ora mostra le meraviglie del creato. Meriterebbe la vittoria, ma all’ultimo un rivale glielo fa a pezzi: la cosa più incredibile del mondo è sua. Il trionfo però dura poco: le 12 ore irrompono e lo cacciano via e il giovane vince la gara. Per ora, in Danimarca, siamo a metà della fiaba. Aspettiamo fiduciosi la fine.

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