domenica 15 maggio 2016
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Acinque anni dalle rivolte sociali passate sotto il nome di Primavera araba, corruzione e malcostume permeano ancora Nordafrica e Medio Oriente. I cittadini si imbattono nel fenomeno quando hanno a che fare con sanità, amministrazione, fisco, polizia. Insomma, quando richiedono servizi a loro dovuti. I numeri variano da Paese a Paese, ma sono comunque allarmanti, riferisce Transparency international, organizzazione che lotta contro la corruzione. Nel 2015, si legge nel rapporto sulla regione Mena appena pubblicato dall’Ong, almeno 50 milioni di persone in Africa del Nord e Medio Oriente hanno dovuto pagare tangenti in cambio di servizi pubblici. Lo studio, condotto in nove Paesi e territori fra settembre 2014 e novembre 2015, punta il dito contro alcune nazioni più di altre: il Libano, impantanato in una crisi politica, e lo Yemen, alle prese con un conflitto civile. Il 61% degli 11mila partecipanti al panel, distribuite fra Egitto, Sudan, Marocco, Algeria, Tunisia, Giordania, Palestina, Libano e Yemen appunto, ritiene che la corruzione sia aumentata nel corso del 2015. Si registra un ampio scarto, però, da Paese a Paese. Per tutti, comunque, sono i servizi pubblici il terreno fertile per la richiesta di mazzette: in Marocco, ad esempio, il 38% di coloro che hanno avuto bisogno di servizi sanitari ha dovuto “ungere” gli ingranaggi del sistema. Transparency cita il caso di Kamal, obbligato a pagare una cifra esorbitante ad un infermiere affinché alla figlia, parzialmente cieca, fosse effettuata una Tac al cer- vello, urgente secondo le diagnosi mediche. Nella regione Mena, anche polizia, tribunali, e amministrazione pubblica hanno una brutta fama quanto a corruzione. E non va meglio ai cittadini quando hanno a che fare con agenti del fisco, funzionari di Stato e parlamentari. Così, l’insoddisfazione da parte della popolazione nei confronti delle autorità in genere è transnazionale e diffusa. «La mancanza di soddisfazione per dirigenti e regimi corrotti è stato un catalizzatore chiave del desiderio di cambiamento nella regione durante le manifestazioni della Primavera araba. Cinque anni più tardi, lo studio mostra che i governi hanno fatto poco per mettere a punto leggi anti-corruzione », riferisce Transparency. Va da sé che la maggior parte delle vittime di concussione non denuncia gli abusi subiti per timore di ripercussioni oppure perché persuasa che «tanto non serve a niente ». Ma c’è un Paese che fa sperare, per così dire, in una maturazione del senso civico, in parallelo a percorsi di democratizzazione della vita sociopolitica: la Tunisia. Dal rapporto 2015 emerge che i tunisini sono convinti di «poter fare qualche cosa contro la corruzione» al proprio livello, cioè ciascuno nella propria vita quotidiana. Il 71% degli intervistati, inoltre, ritiene che «anche la gente normale può fare la differenza». Detto questo, il giudizio sulla classe dirigente è feroce: «L’azione del governo è negativa», la corruzione continua ad aumentare. In proposito, il centro studi International crisis group, nel suo ultimo report sul Paese nordafricano non ha dubbi: è la tensione, ancora alta, fra slancio riformista e freno conservatore ad ostacolare la lotta efficace al malcostume. E poi, una sorta di giustizia di transizione, talvolta fuorilegge, si sta compiendo nel Paese nei confronti del passato regime: un clima in cui è difficile debellare la corruzione. Non è il Nordafrica, però, la pietra dello scandalo. Il Paese più in difficoltà, sottolinea Transparency, è il Libano, senza presidente da oltre due anni e senza ricorso al voto legislativo dal 2009. Un contesto in cui «la gente è molto molto critica nei confronti degli sforzi del governo contro la corruzione, assai diffusa nel settore pubblico». Risultati abbastanza simili a quelli yemeniti, di oggi e di due anni fa, prima che la nazione scivolasse rovinosamente nella guerra. © RIPRODUZIONE RISERVATA ESEMPIO. Tunisi offre segnali incoraggianti (Ap)
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