mercoledì 9 ottobre 2019
La reazione di Pechino dopo le dichiarazioni a sostegno di Hong Kong del general manager della squadre degli Houston Rockets. Cancellato l'evento per i fan cinesi
Un giocatore degli Houston Rockets (in nero) in campo contro i Toronto Raptors (Ansa)

Un giocatore degli Houston Rockets (in nero) in campo contro i Toronto Raptors (Ansa)

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Niente canestri, né rimbalzi. Niente esibizione. Shanghai ha cancellato la partita di basket targata Nba dopo i commenti "inappropriati" fatti su Twitter dal general manager degli Houston Rockets, Daryl Morey, a sostegno alle proteste di Hong Kong. Rimossa dunque la partita di esibizione e a un incontro con i fan cinesi che era programmata originariamente per questa sera, alla
vigilia della partita tra i Brooklyn Nets e i Los Angeles Lakers di domani che, a questo punto, si avvia a subire la stessa sorta, salvo sorprese.

La “bomba” era caduta nella notte italiana tra venerdì 5 e sabato 6 ottobre. A lanciarla, nel bel mezzo della guerra commerciale che impazza da mesi tra Usa e Cina e nel pieno delle tensioni che stanno dilaniando Hong Kong, Daryl Morey, il general manager degli Houston Rockets, blasonata squadra della pallacanestro Usa. In un tweet, poi precipitosamente cancellato, Morey ha inneggiato alla protesta per la democrazia nella regione autonoma. Tempistica quanto mai urticante (per Pechino): la dichiarazione è arrivata alla vigilia delle esibizione in Cina di due squadre Nba. Apriti cielo.

La reazione della Cina non si è fatta attendere. Veemente. Immediata. E censoria. L’emittente televisiva statale cinese China Central Television ha deciso di oscurare la trasmissioni delle partite di basket di pre-campionato, i cosiddetti “China Games”. «Riteniamo che qualsiasi discorso metta in discussione la sovranità nazionale e la stabilità sociale – hanno tuonato dall’emittente di Pechino – non rientri nell’ambito della libertà di parola». Dunque niente diretta Tv per i Los Angeles Lakers e i Brooklyn Nets: i due team avrebbero dovuto affrontarsi domani a Shanghai (evento già annullato) e sabato a Shenzhen. Puntuale anche la ritorsione degli sponsor cinesi che hanno scaricato i Rockets. Il nome della squadra dell’ex star cinese Yao Ming è, peraltro, sparito da tutte le ricerche su Alibaba e JD.com, le due principali piattaforme locali dell’e-commerce.

La reazione americana? Affidata al numero uno della lega del basket americana, Adam Silver: «I valori di uguaglianza, rispetto e libertà di espressione hanno da sempre caratterizzato la Nba e continueranno a farlo. La Nba non si metterà nella posizione di fissare regolare su quello che giocatori, dipendenti e proprietari di squadre possono o non possono dire sui diversi temi». Unica concessione alla Cina, l’aver definito «disdicevole» l’uscita di Morey.

La sfida dello sport (Usa) alla politica (cinese) cade in un momento avvelenato della vita di Hong Kong. La protesta appare indomabile. Altrettanto ferrea la volontà della Cina di arginarla. Pechino teme un effetto domino, la “tracimazione” della rivolta. In questa tempesta, risuonano sinistre (ma anche terribilmente chiare) le parole della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam: «Sento fortemente che dovremmo da soli trovare le soluzioni ed è questa anche la posizione del governo centrale, ma se la situazione dovesse diventare pessima, allora nessuna opzione può essere esclusa se vogliamo che Hong Kong abbia almeno un’altra chance». Tradotto: la Cina potrebbe intervenire (come previsto peraltro dalla costituzione dell’ex colonia britannica, la Basic Law). Con i propri soldati. Lam ha comunque cercato di frenare, facendo sapere di non avere avuto incontri bilaterali con i leader cinesi a Pechino la settimana scorsa durante le celebrazioni per i settanta anni della fondazione.

Ieri sono stati diffusi, poi, i numeri della “repressione”. La polizia di Hong Kong ha eseguito 241 arresti nel weekend lungo del 4-7 ottobre. Si tratta di 170 uomini e 71 donne, di età compresa tra i 12 e i 54 anni. Le accuse, in base alla «diffusa efferatezza» contro agenti e cittadini con diverse visioni, variano dall’adesione a manifestazioni illegali al possesso d’armi esplosive e all’uso delle mascherine, bandite da sabato negli eventi pubblici. Lo ha riferito uno dei massimi funzionari, Kwok Yam-yung. Tra i 77 casi di arresti per l’uso delle mascherine, 16 sono stati già incriminati. Rischiano adesso fino a un anno di carcere e la multa di 25.000 dollari di Hong Kong, circa 3.200 dollari Usa. Da giugno, dall’inizio delle proteste scaturite dalla dura opposizione alla controversa legge sulle estradizioni in Cina, sono state arrestate 2.363 persone, di cui più 200 accusate formalmente di rivolta. «Atti spietati e sconsiderati stanno portando lo stato di diritto sull’orlo del collasso totale», ha sentenziato Kwok.
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