mercoledì 24 novembre 2021
Molti Paesi hanno avviato le evacuazioni: i tigrini sarebbero a 130 chilometri dalla capitale. Il Nobel per la pace e premier andrà «in prima linea a guidare l’esercito federale»
Il primo ministro etiope Abiy Ahmed parla in Parlamento ad Addis Abeba (2020)

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed parla in Parlamento ad Addis Abeba (2020) - Ansa

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L’Onu ha ordinato l’evacuazione urgente delle famiglie dello staff internazionale ad Addis Abeba entro domani. E dopo Usa e Regno Unito, anche Francia e Turchia hanno esortato ieri i propri cittadini a lasciare l’Etiopia con voli commerciali finché è possibile.

Segnali eloquenti dalla comunità internazionale che vede il progressivo allontanamento delle speranze di pace e dialogo dopo 385 giorni di guerra civile e nonostante i vani tentativi di mediazione dell’Unione Africana e degli Usa. Ancora ieri il presidente sudafricano Ramaphosa e quello keniano Kenyatta si sono detti «convinti che vi sia spazio per il dialogo e che vi sia urgente bisogno che le parti in conflitto si impegnino per un cessate il fuoco negoziato e immediato e per un dialogo politico inclusivo».

Ma la situazione sul campo è tornata a infiammarsi. Da una parte è ripresa l’avanzata delle forze di difesa tigrine controllate dal Tplf (fronte popolare di liberazione del Tigrai) e degli alleati dell’esercito di liberazione Oromo verso la capitale etiope e dall’altra sui social il premier Abiy, Nobel per la pace 2019, ha annunciato che da ieri sarebbe «andato in prima linea a guidare l’esercito federale» chiedendo ai cittadini di sacrificarsi per il Paese e dando loro appuntamento al fronte. Che ormai dista meno di 130 chilometri da Addis Abeba, se sarà confermata la conquista di Debre Berhan, località strategica sulla autostrada A2 che collega la capitale a Macallè, capoluogo del Tigrai. Il Tplf sembra interessato, più che alla presa di Addis Abeba, a forzare il blocco degli aiuti umanitari che dura da oltre un mese. Uno dei portavoce, Getachew Reda, ha irriso il premier su Twitter paragonandolo agli imperatori del passato e affermando che, «qualsiasi cosa voglia dire non fermerà l’inesorabile avanzata per porre fine alla sua stretta» sul popolo tigrino.

Abiy si sarebbe riarmato con droni cinesi, turchi e iraniani secondo diversi media africani ed europei e starebbe colpendo Macallè e le postazioni militari tigrine in territorio Afar e Amhara. Quindi non vuole fermarsi ora, esattamente come i suoi nemici. Se c’era stato un passo avanti verso una risoluzione diplomatica, l’escalation militare rischia di vanificarlo, come ha ammesso l’inviato speciale Usa per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltham, preoccupato perché «gli allarmanti sviluppi sul campo stanno avanzando più in fretta di questi fragili progressi».

In tutto il Paese, aizzati anche dai discorsi di odio su Facebook e twitter non rimossi – come ha accusato Amnesty International – proseguono i rastrellamenti di etiopi di origine tigrina. I video delle ronde armate di spranghe a caccia di «sostenitori del Tplf» per le vie di Addis Abeba sono state mandate in onda dai network di mezzo mondo. Amnesty e Human Rights Watch in una lettera congiunta al Consiglio dei diritti umani dell’Onu hanno confermato gli arresti arbitrari su base etnica nel paese.

Le autorità tigrine accusano inoltre il governo federale di aver deportato migliaia di nativi del Tigrai in campi di concentramento e le forze speciali dello Stato regionale Amhara di aver separato i maschi tigrini di età superiore agli 11 anni dalle donne per compiere esecuzioni di massa in diverse città del Tigrai occidentale. Sul fronte umanitario Ocha conferma che otto milioni di persone hanno bisogno di assistenza in tutta l’Etiopia settentrionale.

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