
Lavoratori di Gaza rimasti in Israele e trasferiti in un centro a Ramallah - Reuters
Scovare i lavoratori di Gaza «latitanti», che anziché obbedire all’ordine di rientrare nella Striscia e lasciare Israele si stanno nascondendo da qualche parte in Cisgiordania. La missione è affidata agli agenti sul terreno e agli informatori dei servizi segreti di Gerusalemme.
Nell’attesa di capire se vi saranno altre minacce interne per Israele, dopo la sparatoria di ieri mattina nella quale sono stati uccisi tre palestinesi armati, l’intelligence cerca i «latitanti di Gaza». In maggioranza gente che lavorava sodo nelle aziende israeliane, frontalieri del lavoro a giornata rimasti tagliati fuori dall’operazione di Hamas. Quelli rientrati, prima che Israele scatenasse la rappresaglia sulla Striscia, sono stati tutti censiti. Le autorità israeliane non dicono quanti sono stati schedati, ma da Ramallah a Jenin, da Betlemme a Gerico, tutti sanno che nei campi profughi e al chiuso delle abitazioni più nascoste ci sono residenti di Gaza che non sanno cosa fare.
«Per tornare indietro dovrei uscire dalla Cisgiordania e attraversare il territorio israeliano», racconta uno di loro riparato nella “West Bank”, il territorio nominalmente sotto il controllo dell’autorità palestinese. C’è chi ha trovato posto nei campi profughi, dove Hamas riscuote un vasto consenso. Ma l’uomo che rintracciamo non vuole parlare di Hamas. «La mia famiglia è ancora nella Striscia, non abbiamo più la casa, ma sono ancora vivi, Inshallah». Ma il problema non è “Se Dio vuole”, ma se dal governo israeliano verrà offerta una via d’uscita per quanti vogliono tornare ai propri cari senza rischiare l’arresto. Coloro che ora sono bloccati nei rifugi e nei campi in Cisgiordania sono sfuggiti all’ordine di detenzione. Dall’inizio della guerra nei Territori occupati più di 2.500 palestinesi sono stati arrestati, circa 200 uccisi in scontri con i militari israeliani e un numero imprecisato è finito all’ospedale. Chi è riuscito a rientrare nei primi giorni di guerra si è presentato volontariamente alle Forze di difesa prima che venisse dato l’ordine di colpire a tappeto Gaza nord. Raccontano di essere stati identificati, di avere ricevuto un bracciale numerato da mettere alle caviglie, e con quello farsi riconoscere a ogni richiesta.
Prima della guerra con Hamas, Israele aveva concesso 18.000 mila permessi di lavoro agli abitanti di Gaza. Una manna per quelle famiglie che altrimenti si sfamavano con gli aiuti umanitari (destinati all’80% dei due milioni di palestinesi della Striscia) a causa anche di una disoccupazione che prima della guerra superava il 45% ma che adesso rischia di raddoppiare. Molti erano impiegati nella ristorazione, nella vendita al dettaglio o nell’edilizia. Vivevano in Israele per brevi periodi o facevano i pendolari ogni giorni. Come Ibrahim, che non vuole essere fotografato, non vuole neanche che si dica che lavoro faceva e preferirebbe che neanche si dicesse di che marca sono le sue scarpe da ginnastica. «La guerra mi ha tolto il lavoro e gli israeliani non si fideranno mai più di noi. Da più di un mese - racconta - non vedo mia moglie e i nostri bambini. I miei genitori sono vecchi e spaventati e io sono qui a non poter fare nulla». Dice di non essere rientrato subito a Gaza perché sperava che l’imprenditore ebreo presso cui lavorava lo avrebbe tenuto comunque nella bottega e perché sua moglie era andata subito da parenti che vivono quasi al confine con l’Egitto. «Ho sbagliato: i miei figli pensano che li abbia lasciati da soli sotto le bombe, il datore di lavoro mi ha detto che non poteva più tenermi, e adesso non so che fare per colpa di quei maiali di Hamas». Proprio così, li chiama “maiali”, che non c’è niente di più impuro per chi prega Allah cinque volte al giorno. Immondi, perché hanno irretito i ragazzini «mentre i capi se ne stanno al sole nelle ville in Qatar».
Tra Betlemme e Gerusalemme, quando la scientifica porta via i corpi dei tre palestinesi uccisi, tutto ricomincia come prima. I militari con il volto coperto sanno già che dovranno compiere retate. E cominciano da Hebron, dove le operazioni nei campi profughi e nei quartieri a più alta densità di malcontento. Mentre i “latitanti di Gaza” sanno che dovranno stare ancora più al coperto. Aspettando il prossimo attentato.