sabato 26 febbraio 2022
Un bambino è morto dissanguato per un colpo di artiglieria. Continua il martellamento con i missili. Sul terreno, i primi incursori russi hanno preso le misure alle difese della capitale
La guerra è arrivata a Kiev

La guerra è arrivata a Kiev - Reuters

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L'assedio di Kiev, spietato e smisurato, comincia quando finisce il giorno e il buio è interrotto dalla potenza di fuoco scatenata da Mosca. Gli attacchi sferrati in questi giorni hanno avuto la funzione di spazzare via le capacità aeronautiche, la contraerea e i sistemi antimissile.

E l'artiglieria russa continua a colpire. Una bomba ha ucciso un bambino e ne ha feriti due. Morti anche altri due adulti. In relazione alla piccola vittima si era sparsa la voce che fosse stato centrato l'ospedale pediatrico oncologico Okhmadyt di Kiev, ma la notizia è stata smentita dagli operatori sanitari di "Soleterre" a Kiev e dal caporeparto di oncologia, Okhmadyt Oleksandr Lysytsia: Il povero bambino è stato colpito sulla strada a causa dei combattimenti ed morto dissanguato in ospedale nel tentativo di salvarlo.

Secondo testimoni oculari citati dal giornale, sulla città cadono molti razzi, da ogni direzione. Le sirene sono entrate in azione e le autorità locali hanno invitato tutti i cittadini a trovare rifugio nei bunker e nei sotterranei, prevedendo pesanti raid aerei.

Intanto, sul terreno, i primi gruppi di incursori russi hanno preso le misure alle difese della capitale. La guerriglia urbana, volenterosa ma presto a rischio di restare a corto di rifornimenti, darà filo da torcere.

Ma per quanto potrà reggere? Tutto il resto, dai palazzi del potere alle vecchie caserme della guardia nazionale, dovranno fare i conti con la supremazia di uomini e mezzi ammassati nell’ultimo giorno in vista dell’attacco finale.

Non sarà un colpo fulmineo. Kiev verrà soffocata un giorno alla volta. Un’agonia che si chiama fame di cibo e di armi. Una città da ridurre allo stremo, anche con i micidiali missili termobariche Tos-1 (che di fatto “mangiano” l’ossigeno quando esplodono) che reporter della Cnn hanno visto transitare da Belgorod sul confine ucraino. Lo Stato Maggiore moscovita sa bene che distruggere i monumenti della capitale, in gran parte evocativi di un legame di fede e di storia vissuti in comune da russi e ucraini, ha un costo anche nella politica interna.

Kiev non è Grozny, lo zar non può permettersi di raderla al suolo come avvenuto con la capitale cecena e con le altre Repubbliche ribelli. E allora ci si attende l’arma dell’assedio, con i ponti inaccessibili, a rischio demolizione perché minati, e i viveri che presto o tardi finiranno, come le munizioni.

Solo una tregua potrà fermare l’inesorabile strangolamento. O la caduta del presidente Volodymyr Zelensky, che vede oramai condannata a morte non solo la sorte del suo governo. Putin accusa il comico diventato politico e ora candidatosi all’inadatto ruolo di salvatore e martire, di avere rifiutato le offerte di dialogo. Kiev smentisce e ribadisce di voler ascoltare le condizioni del negoziato per il cessate il fuoco, ma che non accetterà ultimatum, che verrebbero considerati «un tentativo di disgregare l’Ucraina e di costringerla ad accettare condizioni inaccettabili».

Nei primi tre giorni di attacchi l’armata russa ha dovuto affrontare una reazione non del tutto inattesa. L’esercito ucraino, spalleggiato dalle formazioni militari di volontari civili, ha rallentato l’avanzata. Un freno che molti in città interpretavano come un successo spiazzante. Ma che gli ufficiali di Mosca hanno utilizzato per riposizionare gli uomini e fare arrivare rinforzi. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov, storico alleato di Putin, ha annunciato il dispiegamento di forze cecene in Ucraina. Una notizia che terrorizza soprattutto i civili, data la cattiva fama che precede la soldataglia di Grozny.

Eludere e colpire. Infine schiacciare. È da sempre questo il modus politico e militare dell’era putiniana. Zar Vladimir ancora nella giornata di ieri si è lasciato rappresentare dai suoi portavoce come un novello Cesare pronto a graziare il nemico, a patto di togliersi di torno e lasciare fare al Cremlino. L’obiettivo dichiarato è quello di non vedere più al vertice del governo di Kiev il presidente Zelensky e la sua intera cerchia. Ma quella di Kiev non è una guerra per conquistare un grande Paese, le sue risorse, i suoi strategici approcci al mare. È il teatro di una battaglia il cui ricatto arriva all’Europa e a chiunque in questi anni ha ostacolato o rallentato la cavalcata della «Madre Russia».

Il sabato della Kiev assediata non comincia con i rintocchi della campane. I boati che per tutta la notte hanno tenuta sveglia la metropoli non cessano neanche dopo la luce dell’alba. Poi missili e razzi lasciano il posto alle mitragliate nei quartieri a ridosso del centro. Si combatte per le strade. Ci sono palazzi sventrati, civili intrappolati tra le macerie, famiglie che fuggono verso la stazione dove i treni sono stati lasciati funzionare per liberare il centro della città e lasciare che nella trappola di vicoli e piazze restino solo combattenti. Il coprifuoco è stato esteso fino alle 8 di lunedì mattina. Questa domenica non sarà consentito neanche ai giornalisti di mettere il naso fuori.

La Germania invierà 1.000 armi anticarro e 500 missili terra-aria Stinger. Il Belgio «duemila mitragliatrici e carburante». Altri Paesi forniranno equipaggiamento, mentre le truppe di Kiev hanno fatto saltare in aria diversi nodi ferroviari che collegavano l’Ucraina alla Russia per impedire i rifornimenti militari all’esercito di Mosca. Lo riportano media ucraini, citando una nota delle ferrovie statali. Notizie, quelle delle armi tedesche, che hanno l’effetto di accelerare l’avanzata di Mosca, prima che le forze ucraine possano equipaggiarsi. Che fanno però enfatizzare al presidente Zelensky sui social la notizia che per la prima volta Berlino ha ceduto armi a un Paese non appartenente alla Nato: «Continua così, cancelliere Olaf Scholz! La coalizione contro la guerra è in azione» ha twittato.

Ieri, nei bunker con accesso stradale, si sono viste invece scene d’altri tempi. Bambini le cui mamme hanno colorato con il “truccabimbi”. C’è il piccolo ucraino con la faccia di gatto, la bambina bionda truccata come una principessa. Per qualche minuto vengono portati al giardino botanico. «Oggi è Carnevale e andiamo a festeggiare». Una coraggiosa commerciante ha aperto il suo chioschetto di caramelle, hot-dog parole d’incoraggiamento per i pochi che passano.

Nessuno vuole essere fotografato. Sanno già come andrà a finire: «I russi catalogheranno tutte le immagini di noi che stanno circolando sui giornali e sui social network e ci verranno a cercare se parleremo male di loro», spiega un ragazzo appena uscito dall’azienda di informatica che ha dovuto tenere aperta anche oggi per non fare collassare i sistemi di alcune società internazionali.

La guerra è anche elettronica. I “pirati” di Anonymous per tutto il giorno hanno dato l’assalto ai siti governativi di Mosca. «Siamo in guerra», annunciano su twitter. Il Cremlino risponde rallentando Twitter e altri social network, mentre alcuni droni vengono segnalati nei pressi dell’aeroporto militare conquistato dalle forze di Mosca e che in 24 ore ha visto almeno 200 voli di elicotteri trasportare uomini e armi.

La gente intanto rivede i fantasmi dell’Holomodor, la grande carestia che all’inizio degli anni ’30 fece milioni di morti. Quella volta fu Stalin a liberarsi del fardello ucraino con l’arma della fame. Tre giorni fa Vladimir Vladimirovic Putin dichiarando guerra ha preso le distanze da Stalin e Lenin. Ma nella Kiev assediata sono davvero in pochi a notare le differenze.

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