giovedì 18 marzo 2021
La repressione della giunta è stata portata alla ribalta dal gesto di suor Ann Rose. La testimonianza di un esponente cattolico: «La giunta sta prendendo di mira quelli che difendono il popolo
Gli scontri con la polizia a Hpakant, nello Stato Kachin in Myanmar

Gli scontri con la polizia a Hpakant, nello Stato Kachin in Myanmar - Reuters

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A portare sotto gli occhi del mondo la condizione del piccolo Stato settentrionale del Myanmar è stata suor Ann Rose Nu Tawng, della congregazione di San Francesco Saverio, divenuta un'icona di pace e della presenza dei fedeli cattolici birmani per essersi inginocchiata in strada davanti ai soldati a Myitkyina, capitale dello Stato Kachin, dove opera come infermiera. Lo Stato Kachin, all'estremo settentrione del Paese, è tra quelli che più hanno subito le iniziative militari nel mezzo secolo di dittatura ma anche il loro periodico riacutizzarsi nell'ultimo decennio.

Lo Stato Abitato da meno di due milioni di persone, in maggioranza cristiani (anche se le statistiche ufficiali ne riducono l'incidenza sotto il 40 per cento), tra cui 120mila cattolici, è tra le aree che più hanno fornito personale religioso alla Chiesa cattolica, ma anche tra quelle che più hanno sofferto e soffrono il confronto impari con i militari birmani. Dalla fine del cessate il fuoco in vigore nel 2011, sono state almeno 60 le chiese cristiane distrutte, 100mila gli sfollati, molti mai rientrati. Ancor più dopo una ripresa del conflitto nel 2018 che ha visto quasi 8.000 profughi ospitati in chiese cattoliche e battiste. La situazione attuale non può sorprendere i Kachin.
«La giunta sta prendendo di mira quelli che difendono il popolo e i suoi leader detenuti – dice un esponente cattolico locale
–. I vertici della Chiesa cattolica e le guide religiose locali non possono però opporsi completamente. Il cardinale Charles Bo ha proibito a sacerdoti e religiosi di unirsi ai manifestanti, per la loro incolumità, ma molti lo stanno facendo di propria scelta». A conferma dell'idea diffusa tra i manifestanti, soprattutto tra i giovani, che in questa situazione «ciascuno è responsabile di se stesso».
«Resta incredibile vedere quanto le manifestazioni siano diffuse in tutto il Paese – prosegue la fonte, necessariamente anonima –. L'usurpazione del potere dai civili è stata un'azione inaccettabile, che ha immensamente deluso la popolazione che non ha avuto altra scelta che scendere in piazza e manifestare contro la giunta. Ha scelto però di farlo pacificamente, con tre obiettivi condivisi: il rifiuto del golpe militare; la liberazione del consigliere di stato Aung San Suu Kyi, del presidente Win Myint e di tutti i prigionieri politici; la conferma del risultato elettorale di novembre 2020 e il rispetto della volontà democratica di tutti i birmani».
Scelte che tanti stanno pagando in termini di sangue, prigionia e rischi. Quanto potrà durare?
«La risposta delle forze di sicurezza è inaccettabile, ed è disumano l'uso della violenza di cecchini e di mitragliatrici contro civili disarmati – sottolinea la fonte –. È una situazione che provoca, prima ancora che rabbia, una terribile tristezza. Difficile al momento opporsi alla repressione nelle nostre campagne, nei nostri villaggi, soprattutto dove non vi sono testimoni dei mass media o Internet. Più che mai nelle aree rurali e in particolare in quelle abitate dalle minoranze etniche non sono garantiti diritti umani, libertà o dignità».

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