sabato 12 gennaio 2013
​Faccia a faccia alla Casa bianca tra il presidente Usa e il presidente afghano Karzai sulle cifre del ritiro. Ancora incerto il numero di soldati che resteranno dopo il 20124. E resta il nodo dell'immunità ai militari.
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«Rimanere in Afghanistan dopo il 2014 richiederà un invito da parte del governo di Kabul e garanzia di immunità per i nostri soldati». Lo ha precisato ieri Barack Obama al presidente afghano Hamid Karzai, con il quale non parlava da settembre e aveva molti punti da chiarire. Primo di tutti che una presenza americana di lungo termine nel suo Paese è tutt’altro che scontata e che deve essere preceduta da un accordo bilaterale che Obama «spera di raggiungere entro quest’anno».E infatti ieri la Casa Bianca ha accelerato i tempi sulla tabella del ritiro: già nella primavera di quest’anno, ha detto ieri il presidente Usa alla fine dell’incontro con l’omologo afghano, la responsabilità della sicurezza del Paese passerà nelle mani delle forze locali e i soldati americani, come il resto delle truppe Nato, avranno solo un ruolo di supporto, consulenza e addestramento, insieme a quello di combattere al-Qaeda e i suoi affiliati.  Si delinea, dunque, un disimpegno più veloce e meno graduale del previsto. Il generale John R. Allen, comandante del contingente internazionale in Afghanistan, aveva infatti prospettato di mantenere una buona parte delle 66mila unità americane sul territorio per tutta l’estate, periodo in cui normalmente gli scontri con i taleban s’intensificano. Che il presidente americano abbia fretta di portare a casa le truppe ancora stanziate in Afghanistan, e che preferirebbe non lasciarne nessuno dopo la conclusione ufficiale della missione Nato, alla fine del 2014, non è un segreto. Ieri però il capo della Casa Bianca non ha voluto fare numeri di quanti resteranno. Se saranno 3.000, 6.000 o 15mila (come vorrebbero i generali sul terreno e come preferirebbe Karzai) Obama lo farà sapere «con un annuncio separato», dopo essersi consultato con i comandanti americani e delle forze della coalizione. Il presidente Usa ha però approfittato del faccia a faccia per precisare che la priorità degli Stati Uniti, dopo oltre 11 anni di battaglie, è il disimpegno. «Il risultato che cercavamo quando abbiamo iniziato questa guerra è a portata di mano – ha detto durante una conferenza stampa dopo gli incontri – vale a dire impedire che al-Qaeda possa usare l’Afghanistan come rifugio e come punto di partenza per lanciare attacchi contro il nostro Paese». L’opzione “zero” – nessuno scarpone Usa sul suolo afghano fra due anni – resta dunque aperta. Incontra il favore del veterano pluridecorato del Vietnam che sostituirà Leon Panetta al Pentagono, Chuck Hagel, consapevole dei limiti del potere militare e poco incline all’utilizzo della forza all’estero. E verrebbe incontro alle richieste dell’opinione pubblica e alle esigenze di bilancio del Paese mettendo fine a un impegno in cui hanno perso la vita oltre 2mila militari Usa e molti altri stranieri. A questi proprio ieri si è aggiunto un artificiere dell’Esercito spagnolo, morto a causa dell’esplosione di un ordigno rudimentale che stava tentando di disinnescare.E proprio per garantire che sacrificio di tante vite non venga vanificato da una “risorgenza” dei taleban, che hanno promesso battaglia ad ogni americano che rimarrà nel Paese dopo il 2014, Obama ha ottenuto dal governo afghano la promessa di aprire un ufficio per negoziare con gli studenti del corano a Doha, in Qatar. Se la prospettiva di una riconciliazione tra i taleban e il governo Karzai si concretizzasse, l’Afghanistan avrebbe più possibilità di completare la transizione democratica e di procedere sulla via della ricostruzione economica e civile del Paese. Per questo gli Usa, indipendentemente dalla loro presenza militare, avranno un ruolo chiave nel lungo e difficile processo di stabilizzazione dell’Afghanistan: fornendo aiuti economici e cooperazione.
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