lunedì 21 gennaio 2013
Martedì alle urne. Netanyhau verso la riconferma. Con incognite. Si rinnova la Knesset dopo lo scioglimento anticipato deciso in ottobre dalla coalizione uscente. Il premier si troverà alle prese con la difficile situazione economica e le sfide internazionali. Sul tavolo il negoziato con i palestinesi e la minaccia atomica iraniana, dossier complicati dal rapporto da ricucire con Obama. (di Federico Zpja) I CANDIDATI
«Gli arabi del 1948» tentati dall'astensione
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Gli analisti non hanno dubbi: per il premier uscente Benjamin Netanyahu, con il voto di martedì, arriverà il terzo mandato (il secondo consecutivo). Non tanto perché il blocco di centro-destra farà il botto, con un alto numero di seggi, piuttosto perché a sinistra prevarranno le divisioni. Quanto a governare, l’estrema frammentazione che potrebbe caratterizzare la nuova Knesset (il Parlamento, giunto alla 19esima legislatura) metterà in forte difficoltà “re Bibi”, a tal punto da far temere che l’anticipato scioglimento della Camera a ottobre si riveli inutile.Tre mesi fa, l’esecutivo israeliano si incagliò sullo scoglio della manovra economica, dura ma necessaria. Un ostacolo che il nuovo governo troverà tale e quale sulla propria strada ora, mentre la crescita continua a rallentare e la disoccupazione accelera (oltre il 7%, rispetto al 5,4% del gennaio scorso). Intanto, nella società in piena polarizzazione, si accentuano le divisioni fra laici e religiosi, arabi ed ebrei. Dalla compagine di governo che il premier deciderà di mettere assieme dipenderà dunque la tenuta della società israeliana, ma anche l’orientamento delle strategie all’estero: in primo piano, l’eventuale ripresa dei negoziati con i palestinesi di Ramallah e Gaza. E anche un attacco mirato contro le postazioni nucleari iraniane, sfiorato poco prima delle elezioni e brandito da Benjamin Netanyahu di fronte al suo elettorato a fini propagandistici. Secondo gli ultimi sondaggi, per i 120 seggi in palio per cui voteranno 5 milioni e 700mila elettori (quasi 400mila in più del 2009) con un sistema proporzionale con sbarramento al 2%, il tandem Likud-Israel beitenu (Consolidamento-Israele casa nostra) di Benjamin Netanyahu e del ministro degli Esteri uscente Avigdor Lieberman gode di una maggioranza relativa compresa fra 32 e 35 deputati. Di che dormire sereni, anche se con una flessione rispetto al voto del 2009 (allora furono 42).All’asse della destra nazionalista di governo si aggiungeranno i voti degli alleati ultra-ortodossi di Shas, attestati intorno a 10-12 seggi, come nel 2009. Problematici, invece, i seggi di Habayit Hayehudi (Focolare ebraico), neonata espressione degli abitanti degli insediamenti di Cisgiordania e Gerusalemme est: la stima è di 12-14 seggi, persino 22 secondo il fondatore del movimento, Naftali Bennett. L’area di centro-destra-estrema destra, comunque, dovrebbe riuscire a compattare 63 seggi, raggruppando tutte le formazioni religiose, nazionaliste, conservatrici.Sul fronte opposto, la lista dei laburisti di Shelly Yachimovich, invece, potrebbe aggiudicarsi 16-17 seggi. A seguire, le liste dei moderati: Yesh atid (C’è un futuro) e il suo fondatore Yair Lapid sono attestati intorno a 11-13 seggi, prima dell’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni (già leader di Kadima), con la lista Hatnua (Il movimento, 7-8 seggi). Il sopravvissuto Kadima (Avanti) di Shaul Mofaz, è accreditato di due seggi appena: una débacle storica, visti i 28 della legislatura appena terminata. In ascesa, al contrario, lo storico Meretz, il partito sionista di sinistra, che dovrebbe raddoppiare la propria presenza in Parlamento, da 3 a 6 seggi. Quanto alla lista araba, frutto della fusione di tre partiti, dovrebbe mantenere gli stessi risultati del 2009 (4 seggi). Situazione dunque cristallizzata, mentre l’avvio di campagna elettorale era stato scoppiettante: prima la saga di Olmert, indeciso se partecipare alla competizione; poi il ritiro di Barak, ministro della Difesa appesantito dal fallimento dell’operazione militare a Gaza; e, ancora, l’emorragia di colombe eccellenti dal Likud e lo scandalo finanziario che ha investito Lieberman.
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