venerdì 13 giugno 2025
All'alba i bombardamenti sugli impianti nucleari: 78 vittime. Poi la replica degli ayatollah con tre ondate di missili e droni. Almeno 15 feriti. In azione anche i caccia Usa
Distruzione alla periferia di Teheran dopo gli attacchi di Tel Aviv

Distruzione alla periferia di Teheran dopo gli attacchi di Tel Aviv - Reuters

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La seconda ondata di attacchi israeliani è arrivata in serata, ad appena dodici ore di distanza dalla prima. E si è concentrata su Fordow, il più protetto degli impianti nucleari iraniani. Che non si trattasse di «un’operazione» lo avevano già anticipato fonti militari all’alba di venerdì. E lo ha confermato il capo dell’esercito Eyal Zamir mentre una nuova pioggia di missili si abbatteva nella parte occidentale del Paese, fino a toccare la periferia di Teheran. «Stiamo continuando con tutta la forza, a un ritmo elevato, al fine di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati».

Ufficialmente si tratta di impedire a Teheran di dotarsi dell’atomica, secondo Tel Aviv il vero proposito del programma nucleare portato avanti dagli ayatollah. È questa la minaccia «che siamo determinati a rimuovere – ha detto in tv il premier Benjamin Netanyahu –. Siamo disposti ad andare avanti tutto il tempo necessario. Saremo ricordati come la generazione che ha agito in tempo per la sicurezza di tutti». L’armamentario retorico non è nuovo. Il leader del Likud lo ripete da oltre vent’anni. Stavolta, però, cogliendo di sorpresa l’opinione pubblica nazionale e internazionale, ha imboccato la via sulla quale finora non aveva osato inoltrarsi: la guerra aperta con il nemico di sempre.

Con l’aiuto di 007 infiltrati da tempo, un’ondata di raid ha colpito «duecento obiettivi e quattro sistemi russi per la difesa aerea». Tra questi l’impianto di Natanz, cuore del programma nucleare, Busher, l’unico sito già in funzione, la base di Parchin e la città santa di Qom. A Isfahan è stata registrata «un’enorme esplosione» . Al di là dell’ampiezza del raggio di azione, non si conosce l’entità dei danni, dato che le centrifughe sono nascoste in strutture sotterranee. Come ha confermato il direttore dell’Agenzia atomica internazionale (Aiea), Rafael Grossi, il sito di Natanz è stato raggiunto dagli ordigni ma non ci sono tracce di radiazioni nei dintorni. Distrutto, invece, un complesso non precisato in superficie. Almeno 78 persone sono morte negli attacchi, tra cui una ventina di vertici delle forze armate e di figure di spicco del regime che ha promesso vendetta. «Tel Aviv non uscirà indenne», ha detto in tv l’ayatollah Ali Khamenei, il quale – ha precisato Tel Aviv – non è fra i bersagli «come non ci interessa un cambio di leadership». Netanyahu, però, si è rivolto alla popolazione per chiedere di «levare la propria voce contro quanti vi hanno oppresso». Cioè gli ayatollah che sono in un momento di fragilità. Nei venti mesi di offensiva israeliana in seguito al massacro del 7 ottobre, i suoi proxy – da Hezbollah ad Hamas agli Houthi – sono stati ridotti ai minimi termini. Le stesse difese iraniane sono state indebolite.

Lo scenario è molto cambiato dal 2018, quando l’allora ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zavad paragonò Netanyahu «al ragazzino che grida di continuo: “Al lupo, al lupo” sul programma nucleare iraniano e minaccia senza mai agire». Soprattutto a Washington c’è l’amico Donald Trump e non l’inviso Barack Obama, tra i fautori dell’accordo con Teheran. Il premier ha detto di avere informato in anticipo il presidente repubblicano. Lo stesso tycoon ha ammesso di «sapere tutto». Il sostegno – o silenzio assenso – della Casa Bianca è stato indubbiamente importante nello spingere Netanyahu portare all’estremo il concetto di «vittoria totale» più volte evocato nella guerra di Gaza. Non a caso l’attacco è avvenuto alla vigilia del negoziato in Omar sul programma nucleare tra Usa e Iran, facendo saltare il vertice previsto per domani. Il sospetto che possa trattarsi di una pressione in perfetto stile Trump per ammorbidire la controparte è spontaneo. In ogni caso, l’azione, secondo il racconto del premier israeliano, è stata preparata dallo scorso novembre, dopo l’uccisione del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Programmata per aprile, è stata rinviata fino a ieri, «per varie ragioni», non meglio precisate. Il giorno precedente – giovedì – il premier si era recato al Muro Occidentale e, secondo l’antica tradizione di preghiera, aveva lasciato un bigliettino in una crepa dei mattoni. Poco dopo è scattata l’operazione “Rising lion”, citazione biblica dal Libro dei Numeri. «E siamo solo all’inizio», hanno precisato le forze armate israeliane. La scommessa di Netanyahu è, comunque, ardita. Un “ridimensionamento” dell’Iran può cambiare l’assetto del Medio Oriente. E consentire al leader di recuperare credibilità in termini di sicurezza dopo il colpo durissimo del 7 ottobre.

La partita, però, è estremamente delicata. Anche ferito, l’Iran ha voluto rispondere. Un primo “assaggio” è stato il lancio di un centinaio di droni, intercettati dallo scudo Iron Dome. Poi, in serata, la seconda e la terza ondata con 150 missili balistici. Il portavoce dell’esercito, Effie Defrin, ha interrotto le trasmissioni tv per chiedere alla popolazione di andare nei rifugi «fino a nuovo ordine». «Teheran ha la capacità di provocare danni significativi», ha spiegato. La contraerea – con l’aiuto dei caccia Usa, affermano gli iraniani – ha cercato di neutralizzare gli ordigni: vari di questi però hanno raggiunto il territorio israeliano. Esplosioni sono state registrate a Tel Aviv, dove sono caduti tra sette vettori e sono stati danneggiati alcuni edifici, Haifa, Gerusalemme, Ramat Gan, nel Golan, ferendo almeno 14 persone. Due jet israeliani – sottolineano gli ayatollah – sono stati abbattuti e una pilota catturata. Affermazione smentita da Tel Aviv. Il rischio maggiore è che la reazione di Teheran potrebbe non limitarsi ad attacchi tradizionali. A oltre 600 giorni dall’attacco di Hamas, invece di ridursi, il fronte continua ad allargarsi. In Medio Oriente e non solo.

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