venerdì 8 febbraio 2013
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​Se quanto sta succedendo in Tunisia in queste ore, dopo l’assassinio di Chokri Belaid, figura di spicco dell’opposizione, rappresenti una tappa inevitabile nel cammino – tutto in salita – verso l’affermazione della democrazia oppure il rintocco funebre del pensiero laico nel Paese di Habib Bourguiba, gli analisti politici lo potranno evincere solo nei decenni futuri. L’unica certezza, per gli osservatori contemporanei del fenomeno chiamato Primavera araba, è invece che i tunisini stanno vivendo sulla propria pelle, drammaticamente, le principali contraddizioni dell’arco arabo sunnita contemporaneo. Prima ingessato da dittature militari date per imperiture. Poi stordito da rivolte popolari dirottate – chissà se solo temporaneamente – dagli islamisti. In Tunisia, come d’altronde in Egitto, il percorso, per coloro che aspirano a vedere rispettati i propri diritti di cittadini ed esseri umani, potrebbe essere più arduo del previsto. Alla prova del nove, l’unico movimento politico strutturato sopravvissuto allo tsunami di “gelsomini” e “piramidi”, la Fratellanza musulmana, sta dimostrando di essere analfabeta nelle discipline democratiche. E di non voler neppure colmare le proprie lacune. A che pro, d’altronde, visto che, con la complicità di sodali salafiti, minoritari ma ricchi come Creso, si può blindare il potere senza più perdere tempo alle urne? Il vecchio slogan caro agli Ikhwan al-muslimun (Fratelli musulmani, in arabo) egiziani e di riflesso ai confratelli dei Paesi limitrofi, cioè «L’islam è la soluzione», fa acqua da tutte le parti. In primis, perché, nei Paesi della Primavera araba, la leadership politica islamista si comporta come i predecessori: in 15 mesi di governo, il partito di maggioranza tunisino Ennahda (La rinascita), benché forte del 42% dei consensi alle urne, non solo non ha stroncato i falò integralisti sul proprio territorio, ma ha flirtato con quelle forze extraparlamentari che, con la violenza, spingono per l’applicazione della sharia islamica. Ennahda ha condotto la società sull’orlo di un conflitto civile pur di rimettere in discussione il diritto di famiglia, la libertà di espressione, il diritto del lavoro, la libertà religiosa, la dignità delle minoranze. Di dialogo con le altre voci della scena politica solo qualche ombra, e sempre e soltanto quando la piazza ricominciava a scaldarsi. In Tunisia, la stesura della nuova Costituzione sta richiedendo più tempo che in Egitto. Al Cairo, invece, gli integralisti, appagati da una nutrita rappresentanza parlamentare e da una nuova Carta costituzionale verde-islam, non hanno motivo di lamentarsi. Il fallimento dei cosiddetti islamisti pragmatici moderati è ancora più tragico in termini economici: l’industria del turismo stenta a ripartire; la bilancia commerciale soffre; la disoccupazione cresce; aumenta la percentuale di coloro che vivono con meno di un dollaro al giorno; i prezzi dei beni di prima necessità volano e il barile delle sovvenzioni è ormai vuoto. In questo scenario più da tramonto che da rinascita, un sussulto è richiesto, a sostegno di chi scende nelle strade, ai movimenti laici e liberali, alla minoranza cristiana, ai musulmani che ritengono davvero compatibili sunna e democrazia. Un “matrimonio”, per il momento, non celebrato.
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