lunedì 20 aprile 2015
​Aziz, Rami, padre Rebwar... Trentotto profughi pellegrini a Roma si raccontano.
COMMENTA E CONDIVIDI
Aziz Yaico viveva a Baghdad: poi un giorno all'uscita dalla Messa nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo, mentre stava riprendendo l'auto al parcheggio, un kamikaze si è fatto esplodere davanti all'edificio e sua moglie, che lo aspettava lì, è rimasta uccisa. Ora Aziz è in Europa.Rami Zyiad ha appena vent'anni e da 19 è profugo, da quando cioè i suoi genitori hanno scelto, con lui neonato, di scappare in Francia, ad Aubervilliers, vicino Parigi. "Mai stato in Iraq ma la sento la mia terra", dice il ragazzo, una vita in Europa ma con il sogno di tornare a casa.E poi c'è Napolyoon: "Ho solo un figlio e se torno rischio che gli uomini dell'Is lo rapiscano per chiedere un riscatto, come accade quotidianamente. È una situazione sempre più difficile". E infatti Shahad racconta che un suo parente è tra i 160 siriani assiri rapiti ai confini con l'Iraq e "chiedono ora un riscatto di 160mila euro per ciascuno di loro".   Trentotto profughi iracheni raccontano la loro storia, quella della fuga da un Paese dove la vita per i cristiani, "è impossibile". Parlano in caldeo, l'aramaico che parlava Gesù, e sono in pellegrinaggio a Roma. Originari della terra che ha visto il profeta Abramo, fedeli al cristianesimo al punto di lasciare la propria patria, volevano "pregare a Roma che è il centro della cristianità". Vengono dalla Francia, che li ha accolti con lo status di rifugiati, e stamani hanno potuto raccontare le loro storie in Vaticano, ai cardinali Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione delle Chiese orientali, e Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti.Ad accompagnarli, alla Pontificia Università Santa Croce dove incontrano la stampa internazionale, padre Rebwar Basa, sacerdote caldeo, che da Roma, dove rappresenta il suo ordine religioso e studia per un dottorato, viaggia spesso verso Erbil, in Kurdistan, la città in cui hanno trovato rifugio i cristiani iracheni perseguitati. Ha negli occhi la distruzione del monastero di San Giorgio a Mosul, "dove sono stato ordinato sacerdote", e "i container dove vivono tante famiglie con grandi difficoltà". E non esita a dire che "essere stati buoni nel dialogo è stata una strategia sbagliata; anche i genitori a volte con i figli devono essere severi e per noi è venuto il momento di difendere con decisione i diritti umani". Ha fatto da guida in questi giorni ai suoi fratelli profughi caldei, diretti discendenti degli antichi assiri, che domani pregheranno ad Assisi sulla tomba di san Francesco. E poi rivela il sogno di tutti i cristiani iracheni: "Che Papa Francesco possa un giorno andare in Iraq a dare una parola di speranza a tanti fratelli che soffrono per il solo fatto di non aver voluto perdere la loro fede in Cristo".
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: