lunedì 22 agosto 2016
​Il nunzio apostolico: troppi soldi per le armi e non per chi soffre. Si avvicina l'offensiva su Mosul e occorre prepararsi a una più grave emergenza umanitaria. Milioni di sfollati.
Iraq, il rischio di dimenticare le persone
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Milioni di profughi iracheni sono ridotti alla fame, provati nella fede e separati dalle famiglie, a causa della guerra. Ne ha parlato alla Radio Vaticana il nunzio apostolico in Iraq, monsignor Alberto Ortega Martín che ha sottolineato che gli sfollati nel Paese sono circa tre milioni e mezzo e che le Nazioni Unite si sono impegnate, ma la richiesta di soldi è stata coperta soltanto in parte. "Come Papa Francesco ha denunciato tante volte, si usano tanti soldi per le armi e non si usano nella stessa misura per la persona concreta e i suoi bisogni". La paura della presenza di terroristi fa poi sì che le autorità militari spesso non trattino in modo adeguato i civili in fuga dalle zone di guerra. E questo comporta che a livello delle famiglie si creino delle situazioni difficili. Per le donne e per i bambini è facile uscire, per gli uomini a volte devono fare questi controlli "che con il tempo cercheranno di effettuare al meglio possibile perché ci sono state alcune critiche e infatti è stata anche aperta un’inchiesta per verificare e trovare il modo migliore per portare avanti queste azioni di controllo". In quanto ai campi profughi Ortega Martín spiega: "Si cerca di fare il più possibile tramite la Caritas, adesso a poco a poco molti di loro, soprattutto cristiani, sono in case affittate che erano pensate per una famiglia e invece ce ne sono due o tre, ma almeno hanno un tetto. Certo hanno bisogno ancora di aiuto per l'affitto e per mantenersi, per il cibo e i beni di prima necessità ...l'ideale, e ci sono già progetti al riguardo, è fare in modo che possano guadagnarsi uno stipendio e integrarsi di più. Ma grazie a Dio in questi campi ce ne sono sempre di meno". I cristiani "hanno sofferto tanto - ricorda il nunzio -. A Mosul e nella zona della Piana di Ninive, tutti se ne sono andati. Molti sono andati all'estero, tanti in Kurdistan. Purtroppo è diminuita la presenza cristiana nel Paese, ma tanti restano ancora anche a Baghdad. E noi cerchiamo di incoraggiarli e dar loro speranza perchè pensiamo che la loro presenza sia importantissima non solo per la Chiesa, ma anche per la società. D' altra parte se vogliono rimanere hanno bisogno di sicurezza, di lavoro, di un'abitazione". Intanto sembra avvicinarsi l'offensiva governativa su Mosul e a livello umanitario si aspetta una crisi molto forte e si fanno preparativi perchè non si può improvvisare la risposta. "Nello scenario più prevedibilie - spiega il monsignore - potrebbe esserci anche un milione di sfollati in pochissimo tempo. Una situazione di emergenza che non ha pari nella storia recente". "L'Iraq - sottolinea Ortega Martin - è un Paese che ha tante possibilità, come capacità è ricco, ma purtroppo vive una situazione di crisi .E la grande sfida, mi accorgo sempre di più, è la riconcilizione: a parte il cercare di sconfiggere l'estremismo, occorre andare alla radice, per costruire insieme una società in cui tutti hanno un posto, dove lavorano insieme, dove c'è dialogo. In questo si gioca il futuro del Paese e a questo futuro i cristiani, pur numericamente in minoranza, vogliono offrire un contibuto indispensabile... I cristiani sono sempre chiaramente artefici di pace, ricchezza, sviluppo ed è un ruolo che vogliono svolgere insieme alle persone di altre religioni".
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