venerdì 14 febbraio 2020
A pochi giorni dal voto politico, il governo rinnova le minacce a chi violerà il bando ai simboli e gadget. Ma la gente appare sempre meno “fedele”
Fedeli alla linea: ragazze a Teheran, avvolte dalla bandiera nazionale, nel 41esimo anniversario della Rivoluzione dell'11 febbraio

Fedeli alla linea: ragazze a Teheran, avvolte dalla bandiera nazionale, nel 41esimo anniversario della Rivoluzione dell'11 febbraio - Ansa

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Nel ricordo di Soleimani, alla vigilia di un voto difficile, l'Iran non cambia. O vuole dare l'impressione di farlo. Anche quest'anno il governo ha vietato i festeggiamenti per San Valentino tacciandoli di "invasione culturale" e avvertendo che i negozi che metteranno in vendita gadget relativi alla festa degli innamorati rischiano la chiusura da uno a sei mesi. Lo riferiscono i media iraniani.
L'agenzia Isna cita inoltre la procura di Qom secondo cui coloro che vendono o pubblicizzano i simboli "anti culturali" di San Valentino, che sono "contro la cultura islamico-iraniana" subiranno delle serie conseguenze. L'organizzazione di categoria
che rappresenta le mercerie ha diffuso fra i negozianti il divieto di vendere palloncini a tema dopo l'ordine disposto
dalla polizia. Sebbene i festeggiamenti per San Valentino siano considerati un crimine dalle autorità iraniane, la ricorrenza è comunque diventata popolare fra gli iraniani negli ultimi due decenni: è usanza acquistare palloncini a forma di cuore e regali,
orsacchiotti e cioccolatini per i propri cari oltre allo scambio di messaggi. Negli ultimi anni gli iraniani hanno inoltre tentato di recuperare una antica ricorrenza che ha origini zoroastriane e risale all'Impero di Achemenide, il giorno di Sepandarmazgan, fissata per il 18 febbraio.

Una campagna in sordina

Il Paese, intanto, si avvia stancamente al voto politico. Né poster dei candidati né simboli degli schieramenti in lizza a tappezzare le strade di Teheran. L'atmosfera che si respira nella capitale giovedì, primo giorno della campagna elettorale per le parlamentari del 21 febbraio, è di disillusione, molto lontana da quella vibrante di partecipazione che caratterizzò le ultime due presidenziali, con il trionfo di Hassan Rohani sull'onda delle sue promesse di apertura al mondo e di liberalizzazione interna.

Tramontate le speranze di cambiamento nate dall'accordo sul nucleare del 2015, abbandonato dagli Usa tre anni dopo, gli iraniani continuano a fare i conti con le difficoltà della vita quotidiana sotto il peso delle sanzioni americane e con un sistema apparentemente impermeabile alle riforme. Una prova è il processo di selezione dei candidati, con il Consiglio dei Guardiani, organo dominato dai conservatori, che ha bocciato ben 7.296 nomi su un totale di 16.033. Tra di loro molti noti riformisti o indipendenti sostenitori di Rohani, compresi 75 deputati uscenti. I riformisti lamentano di essere rimasti senza candidati di peso in diverse città. Mentre tra gli ammessi la maggioranza appartiene ai fondamentalisti già oppositori dell'accordo sul nucleare che affermano di non temere nemmeno uno scontro con gli Usa, dopo l'uccisione in un blitz americano il 3 gennaio scorso a Baghdad del generale Qassem Soleimani.

Il generale Esmail Ghaani,il nuovo capo delle Forze Quds, ricorda a Teheran il “martirio” del suo predecessore Qassem Soleimani

Il generale Esmail Ghaani,il nuovo capo delle Forze Quds, ricorda a Teheran il “martirio” del suo predecessore Qassem Soleimani - Reuters


La Guida suprema Ali Khamenei ha chiesto agli iraniani di recarsi in massa alle urne per mostrare compattezza di fronte al nemico americano, come in occasione dei giganteschi funerali di Soleimani. Anche Rohani ha lanciato lo stesso appello, ammettendo tuttavia l'esigenza di una "riconciliazione nazionale" in seguito alle proteste seguite all'abbattimento per errore da parte della contraerea di Teheran di un Boeing ucraino con 176 persone a bordo, di cui 145 iraniane, poco dopo la rappresaglia con un bombardamento missilistico su una base in Iraq che ospita soldati americani. Ma molti sembrano decisi a non raccogliere tali inviti.
"Io e la mia famiglia - racconta Navid, un medico di 32 anni che per due volte ha votato Rohani - abbiamo deciso di boicottare le elezioni, visto che il Consiglio dei Guardiani determina chi dobbiamo votare e chi no". Mentre l'analista politico riformista Saeed Leylaz prevede che a recarsi alle urne sarà non più del 50% dei 57,9 milioni di aventi diritto. Una percentuale molto più bassa rispetto al 73% del 2017, quando Rohani venne rieletto trionfalmente alla presidenza.

Le Guardie in Parlamento

Quanto ai risultati, Leylaz si dice convinto che il prossimo Parlamento vedrà la presenza di meno riformisti e conservatori appartenenti agli schieramenti tradizionali che si sono affrontati nell'ultimo ventennio. "Ci sarà invece - aggiunge - un gran numero di nuovi deputati di una corrente politica finora sconosciuta sostenitori delle Guardie della Rivoluzione". Cioè il corpo militare d'élite all'interno del quale Soleimani era responsabile della Forza Qods per le operazioni oltre confine.
Qualunque sarà l'esito del voto, le pesantissime sanzioni americane continueranno a rendere estremamente difficile la vita di milioni di iraniani. Tra di loro quelli che nel novembre scorso sono scesi in piazza nelle proteste per l'aumento dei prezzi della benzina, represse con un bilancio di centinaia di morti. Shima, una ragazza di 19 anni, è tra i 2.93 milioni di giovani chiamati per la prima volta alle urne, ma ha deciso che non ci andrà. "Alle presidenziali - dice - i miei genitori votarono per Rohani, perché erano felici dell'accordo sul nucleare. Ma adesso che quell'intesa è così traballante anche loro hanno perso le speranze nel governo".


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