giovedì 13 giugno 2013
Domani il Paese alle urne sceglierà il successore di Ahmadinejad alla presidenza L’incognita affluenza: la gente è più preoccupata dalla crisi e dal tracollo del rial. I riformisti e i moderati si presentano abbastanza compatti dietro Hassan Rohani. In ordine sparso, invece, il campo rivale dei «principalisti», con il trio Velayati-Qalibaf-Hadad Adel.
EDITORIALE Incubo a Teheran di Vittorio E. Parsi
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Gli iraniani sono chiamati domani a un inedito “election day” sia per scegliere un nuovo presidente della Repubblica, sia per il rinnovo dei consigli municipali. A contendersi la successione di Mahmoud Ahmadinejad concorrono sei candidati finali. Se nessuno di loro raggiungerà la maggioranza assoluta al primo turno, i primi due, dopo una settimana, vanno al ballottaggio. I riformisti e i moderati si presentano abbastanza compatti dietro Hassan Rohani, dopo che l’altro candidato riformista, Mohammed Reza Aref, si era ritirato su esplicito invito dell’ex presidente Mohammad Khatami. Rohani attira anche i voti di coloro che sperano in una maggiore libertà e nella fine dell’isolamento diplomatico del Paese. Molto meno evidente la solidarietà all’interno del campo rivale dei “principalisti” (conservatori filo-Khamenei, la Guida suprema), che si presenta in ordine sparso. Il trio Velayati-Qalibaf-Hadad Adel aveva stretto un patto secondo il quale i due candidati meno favoriti nei sondaggi si sarebbero ritirati per favorire il candidato con più possibilità. Ma solo Hadad Adel ha mantenuto la promessa. Mohammad Baqer Qalibaf, sindaco di Teheran, vanta un indiscusso appoggio popolare comprovato anche nei sondaggi, mentre Alì Akbar Velayati mette in primo piano la sua lunga esperienza politica essendo stato a lungo ministro degli Esteri. Dalla sua, Velayati ha il consenso di un’importante associazione del clero sciita di Qom, la capitale religiosa dell’Iran. Ma il problema dei conservatori non è da addebitare soltanto a loro due. Due altri candidati di correnti conservatrici, Said Jalili e Mohsen Rezai, rischiano infatti di disperdere ancor di più il voto. Jalili, considerato il rappresentante dell’ala più radicale, conta sull’appoggio del potente capo dei pasdaran, Mohammed Ali Jafari, e di altri falchi. Secondo alcuni osservatori, Jalili non sarebbe mal visto nemmeno dalla fazione “deviazionista”, vicina al presidente uscente, che si è vista escludere il proprio candidato, Esfandiar Rahim Mashaei, dalla corsa elettorale. Come in altre scadenze elettorali, la prima incognita è rappresentata dal tasso di affluenza. I dirigenti iraniani hanno insistito sul «dovere religioso» di partecipare al voto. «La vostra presenza alle urne – aveva detto la Guida suprema Ali Khamenei in un recente discorso –, rafforza l’islam, il Paese e la rivoluzione islamica». «Il popolo deve votare, ha tuonato un membro dell’Assemblea degli Esperti, affinché il nemico si renda conto dell’inutilità delle sanzioni imposte dai Paesi occidentali. Non votare significa votare per i suoi nemici». Più che dal voto, gli iraniani sono interessati alla situazione economica, con la divisa nazionale, il rial, ai minimi storici. La politica economica seguita da Ahmadinejad, che consisteva nel distribuire le entrate del petrolio tra i cittadini meno abbienti, ha avuto come conseguenza l’aumento dell’inflazione al 40 per cento nell’ultimo anno del suo mandato. Anche la disoccupazione è aumentata. Stando ai dati del Centro iraniano di statistica, negli ultimi cinque anni, una persona su quattro è senza lavoro. Anche l’esportazione di petrolio è crollata. Prima che entrassero in vigore le ultime sanzioni occidentali, le esportazioni di greggio ammontavano a 2 milioni e 200mila barili al giorno, ridotto oggi a meno di 700mila barili al giorno. Un’eredità dal segno negativo che ha spinto tutti i candidati a cercare di conquistare gli elettori con promesse economiche. Ma tutti sanno che il vero problema dell’economia iraniana è di natura politica, e di politica internazionale precisamente. Un campo in cui non possono prendere delle decisioni.Ieri, Amnesty International ha denunciato in un documento l’intensificazione delle misure repressive contro il dissenso in vista delle elezioni. L’organizzazione riferisce di decine di arresti arbitrari e di altre violazioni dei diritti umani nei confronti di giornalisti, attivisti politici, sindacalisti, studenti e persone che si battono per il riconoscimento di maggiori diritti per le minoranze religiose ed etniche dell’Iran.
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