sabato 17 settembre 2011
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Il dottor Abdul Khadir, da anni uno dei medici del Benadir Hospital di Mogadiscio, non ha «tempo da perdere con la politica». L’ospedale in cui lavora è una delle pochissime strutture sanitarie che riesce ad operare, in condizioni a dir poco estreme, nella realtà drammatica della capitale somala. Raggiunto al telefono, ammette che nonostante la situazione si sia «relativamente calmata» con la ritirata dei ribelli qaedisti di al-Shabaab, l’ospedale ha praticamente bisogno di tutto.Sono cambiate le condizioni in cui operate dopo il ritiro degli shabaab?I ribelli hanno lasciato la maggior parte delle loro basi in città, ma gli scontri continuano quasi ogni giorno, soprattutto nella parte Nord di Mogadiscio. Ultimamente riceviamo meno feriti d’arma da fuoco rispetto a quando c’erano quotidiani combattimenti nel centro della capitale tra gli shabaab e l’esercito del governo di transizione, però le nostre attenzioni si rivolgono ora ai pazienti affetti da varie malattie che rischiano di provocare epidemie difficilmente contenibili in un’area critica come la Somalia.Qual è la situazione dei pazienti ricoverati?Drammatico. Abbiamo numerosissimi casi di diarrea, malaria, e tubercolosi. Ogni giorno è una battaglia, durissima, soprattutto per i più piccoli: dai due ai dieci anni. Inoltre sono molto alti i livelli di malnutrizione tra i minori anche al di sotto dei due anni. Purtroppo, per una serie di motivi, non ci arrivano più medicine da diverse settimane. Alcune organizzazioni umanitarie riescono a rifornirci, però ad intermittenza, e tutti sanno che senza una regolare fornitura di medicinali i pazienti non sono che destinati a peggiorare. Non arrivano quindi gli aiuti umanitari in ospedale?Gli ultimi rifornimenti ci sono arrivati due mesi fa, da allora non riceviamo più niente. Abbiamo lanciato appelli, richieste all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), all’Unicef e ai gruppi di assistenza locali con cui siamo in contatto. Nessuno si è ancora fatto sentire.Ma alcuni operatori dell’Oms sono venuti a Mogadiscio...Sì, ma vengono da noi pochissime volte all’anno solo per farci dei corsi, non per portare i mezzi necessari a intervenire. L’Oms, per esempio, ha recentemente ricevuto dieci milioni di dollari dall’Arabia Saudita destinati alle strutture sanitarie: qui tutti lo sanno, ma di questi finanziamenti non ne abbiamo ancora visto l’ombra. Anche l’Unicef, di solito, ci fornisce il latte per i bambini. Ma sono due mesi che hanno smesso di farlo. Non capisco, sembra quasi che si faccia di tutto per aggravare e non risolvere la crisi somala. Aiuti, invece, dal Governo federale di transizione somalo?Loro sono occupati a combattere i ribelli e a mandare avanti i loro traffici, non si preoccupano dei malati. Da quando è stato nominato il nuovo governo, nel giungo scorso, il ministro della Salute ci ha visitato solo una volta camminando per dieci minuti per i corridoi dell’ospedale senza dire niente.Quale messaggio vuole dare agli italiani?I politici italiani sanno come siano le vere condizioni della Somalia, ma la vostra popolazione ne è all’oscuro. Chiedo quindi agli italiani di mostrare un vero interesse nei confronti del nostro Paese e di aiutarci: la maggior parte delle persone si muove solo quando vede in televisione certe immagini, ma non dovrebbe essere così.
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