venerdì 15 aprile 2022
Dopo la pandemia, gli insegnanti rimasti in Ucraina adoperano la didattica a distanza per proseguire il programma e non abbandonare gli scolari accolti in tutta Europa.
A Chisinau, in Moldavia, alcuni scolari rifugiati ucraini si collegano con le insegnanti e i compagni di classe sparsi in Europa

A Chisinau, in Moldavia, alcuni scolari rifugiati ucraini si collegano con le insegnanti e i compagni di classe sparsi in Europa - Nello Scavo

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Ora anche la matematica sembra divertente. Per non dire dell’inglese, che mai come adesso gli scolari percepiscono come la lingua per farsi capire ovunque. Le domande vengono poste a Odessa, le risposte arrivano da Chisinau, da Berlino, da Roma e da Madrid.

E’ l’istruzione a distanza in tempo di guerra. Gli scolari ucraini l’avevano già sperimentata durante i due anni di pandemia. E si deve adesso alle loro maestre, molte rimaste in Ucraina, se il programma scolastico può andare avanti.

Molti non hanno libri con sé, lasciati a casa durante la grande fuga di massa. Ma grazie alla tecnologia si può sopperire. A Chisinau, ad esempio, in una casa gestita dalla diocesi cattolica, i bambini si danno appuntamento all’ora della colazione. L’insegnante di inglese li contatta da Odessa. Tablet e telefonini diventano così lo strumento non solo per insegnare, ma per tenere unita la scolaresca. C’è chi si collega dall’Italia, chi dalla Francia, o dalla Spagna. Molti sono in Romania e qualcuno è rimasto invece in Ucraina, magari scappato in una casa di campagna.

I primi minuti i bambini li dedicano a scambiarsi opinioni, a domandarsi come vanno le cose, se hanno trovato giocattoli nella loro nuova vita di piccoli profughi. Non hanno perso il sorriso, ma è un sorriso carico di malinconia. C’è una domanda che si fanno tutti. Più o meno a turno. “Hai notizia del tuo papa?”. Quasi nessuno infatti ha raggiunto i ripari nel resto d’Europa con i padri al seguito. Gli uomini sono rimasti in Ucraina, chi per combattere, chi per continuare a far funzionare la cosa pubblica. E adesso anche le donne medico vengono richiamate in patria. Una di loro ci racconta con tristezza il programma delle prossime ore. Dovrà lasciare i due bambini in consegna ai volontari della Caritas e ai sacerdoti. Lei deve tornare al lavoro in un ospedale nella regione di Odessa. Se non dovesse presentarsi verrà licenziata e il suo titolo professionale stracciato, impedendole di ricominciare quando la guerra dovesse finalmente finire. E senza il riconoscimento dell’abilitazione alla professione non potrebbe neanche cercare lavoro in altri paesi europei.

Alcuni bambini vengono dal Donbass. Hanno viaggiato per giorni su treni e vecchie corriere, pur di sottrarsi con le loro famiglie al pericolo di venire evacuati in Russia. Nei distretti di Donetska, Kharkivska, Luhanska e Zaporizka sono state segnalate dalle agenzie umanitarie internazionali “preoccupazioni per la sicurezza”. Nel 75% del territorio visitato dagli osservatori indipendenti sono stati segnalati danni alle case. Nell’88% del territorio di quegli oblast il livello di danni alle infrastrutture civili critiche, come scuole, centri industriali, poli sanitari “è motivo di grave preoccupazione”. Restrizioni agli spostamenti all’interno dei centri abitati sono segnalati nel 94% degli insediamenti osservati, con movimenti in entrata e in uscita dali villaggi limitati o completamente impediti nel 33% dei casi, tra cui Izium (Kharkivska oblast), Mariupol (Donetska oblast), Popasna, Rubizhne e Sievierdonetsk (Regione di Luhanska).

I bambini lo sanno. E sapere che la propria scuola è stata distrutta non fa meno male di aver saputo che anche la propria casa è stata devastata e saccheggiata.

Le maestre provano a cambiare discorso. Ma domani, dopo la matematica e la storia, le domande di oggi torneranno a viaggiare tra i piccoli schermi dei piccoli forzati della scuola a distanza.

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