giovedì 5 luglio 2012
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La vicenda di Farzana Bibi, la cattolica pachistana impiegata con la famiglia in una fabbrica di mattoni, costretta a vendere un rene per garantire la liberazione dalle catene del debito, ha riacceso i riflettori su un fenomeno – quello della schiavitù – che include asservimento per debito, tratta di esseri umani, lavoro minorile, sfruttamento sessuale. In un mondo che cresce in possibilità e benessere, via via sottoposto a leggi più mirate, con opinioni pubbliche sempre più sensibili e con maggiori possibilità di azioni repressive, le aree di schiavitù si allargano e si moltiplicano, e le statistiche segnalano che nella storia dell’uomo non vi è mai stato un numero così elevato di persone in condizione di schiavitù, con oltre la metà concentrate nel solo Subcontinente indiano.La storia di Farzana, con i soldi dell’espianto sottratti da un mediatore senza scrupoli e il marito già inabile morto di crepacuore come conseguenza, racconta come sia difficile affrancarsi da un sistema che associa privilegi antichi a forme moderne di oppressione. La sua vicenda, portata alla luce da un pastore evangelico attivo nel suo villaggio di Korian, si inserisce nel vasto panorama della schiavitù, che in Pakistan coinvolge 250mila minori ambosessi e un numero tre volte superiore di donne adulte. Una schiavitù che alimenta ed accentua un sistema di oppressione delle minoranze che la legge fatica ad ostacolare, ma che ha anche seri oppositori. Tra questi la Commissione nazionale Giustizia e Pace della Conferenza episcopale cattolica (www.ncjppk.org). A sostenere l’impegno della società civile è anche la Commissione per i Diritti umani del Pakistan.È però la confinante India, forte delle dimensioni della sua demografia e dei suoi problemi, a guidare una triste classifica. Il governo di New Delhi tende a non riconoscere le varie aree di schiavitù se non riguardo allo sfruttamento sessuale. Di conseguenza, la situazione di milioni di uomini, donne e bambini costretti a lavorare per i debiti contratti dalle famiglie, come pure la condizione dei lavoratori domestici o in generale del lavoro minorile, vengono considerati come problemi di povertà e di crescita, non di sfruttamento. Tra molti gruppi e organizzazioni, anche confessionali, attivi per denunciare e contenere certi fenomeni, anche Bal Vikas Ashram, centro creato nel 2001 nella diocesi di Allahabad (www.dioceseofallahabad.org), nel popoloso Stato di Uttar Pradesh. Un progetto-pilota fondato da padre Luis Mascarenhas, che molti nella Chiesa indiana chiedono di replicare altrove, un’attività che ha portato a recuperare 2.000 piccoli lavoratori, ospitandone altri 600 con il sostegno attivo del governo locale. Sempre in India, diverse iniziative a sostegno delle vittime della schiavitù sono anche organizzate e finanziate dal Catholic Relief Service, affiliazione Usa della Caritas Internationalis.Nella caotica metropoli di Mumbai, maggiore centro finanziario e commerciale del Paese, si concentra una massiccia prostituzione. Secondo le stime, anche la metà delle almeno 100mila “lavoratrici del sesso” cittadine, in molti casi forzate nella loro condizione, provengono dal lontano Nepal dove intere aree sono private di giovani donne: 10-15mila ogni anno, con casi anche di bambine di nove anni, sono attirate da mediatori nel “mercato” indiano della prostituzione e altrove.Contro questa situazione si batte dal 1993 Maiti Nepal, creata da un gruppo di professionisti attivi nel sociale. Sotto la guida della signora Anuradha Koirala e in collegamento con altri gruppi di impegno all’interno e all’estero, inclusa la Caritas che conduce diversi programmi di sensibilizzazione e recupero tra cui apprezzate trasmissioni alla radio nazionale, Maiti - che gestisce un centro di riabilitazione presso Kathmandu - è cresciuta in dimensioni ed influenza, ma anche in impegno fino ad abbracciare altri settori del “sistema” schiavistico in Nepal. (Per l’azione Caritas in Nepal e negli altri paesi della regione: Caritas).Per finanziare progetti anti-schiavitù in Asia: asiaoceania@caritasitaliana.it Per l'India: donations@caritas.va
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