sabato 28 gennaio 2012
​Nel 2010 sono state registrate 8.391 denunce di omicidio per motivi legati a questa pratica vietata dalla legge 50 anni fa ma ancora popolarissima. Dietro la violenza, nella gran parte dei casi, i mariti.
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​La corsa al benessere dell’India sembra sempre più una corsa alla discriminazione. Tra le pieghe di un benessere che per molti è reale e per tanti ambizione, si celano infatti problemi che non solo il progresso ignora ma che anzi incentiva. Tra questi la consuetudine della dote, che ogni anno trasforma in un inferno i sogni di migliaia di donne.Dati aggiornati pubblicati dal quotidiano indiano The Times of India, indicano che per ragioni collegate a questa pratica antica ma vietata dalla legge cinquant’anni fa, muore una media di una sposa all’ora, mentre quelle che sopravvivono a una fine sovente orrenda, cosparse di acido o bruciate vive, sono almeno dieci volte tanto. Nel 2010 sono state registrate 8.391 denunce di omicidi di giovani donne per motivi di dote, con un aumento di oltre il 15% sui 6.995 di dieci anni prima. Sono 94mila i casi di aggressione e lesioni denunciati per lo stesso motivo. “Esecutori” di atti criminali che sovente vengono denunciati come “incidenti domestici” sono spesso gli stessi mariti, ma anche cognati o suoceri che, non riuscendo ad estorcere dalla famiglia della sposa doti per loro accettabili, decidono di eliminare la donna per incamerarne i beni portati nella loro casa e consentire al marito un eventuale nuovo matrimonio.A perpetuare questa pratica concorrono non soltanto la crescente sete di denaro e di beni pregiati delle famiglie, non escluse quelle delle classi medie e superiori, ma anche il disinteresse della società civile, che fatica a riconoscere e a denunciare questo genere di delitto, oltre che la scarsa determinazione della polizia e del sistema giudiziario nell’indagare e perseguire questo genere di delitto. Non a caso, forse, soltanto il 34 per cento dei casi di morte denunciati nel 2010 sono sono finiti con una condanna (contro il 37 per cento del 2000) e solo il 19 per cento dei casi in cui la donna è sopravvissuta. Una situazione che anche l’autorevole quotidiano di Mumbai definisce «vergognosa». Avere una figlia in India è per molti un «fardello economico». Non solo infatti rischiano di restare improduttive per la famiglia a causa della discriminazione nell’accesso al credito, nell’assegnazione dei posti di lavoro e nelle opportunità, ma anche per la necessità di provvederle di dote che le renda attraenti per un matrimonio. Una delle cause maggiori di depauperamento delle famiglie indiane. La legge del 1961 che la proibisce resta sovente inattuata, in molti casi pre la mancata designazione di chi, a livello distrettuale, dovrebbe farla valere, ma anche per disinteresse ed omertà. Anzi, con il tempo la pratica si è diffusa anche in classi sociali dove prima non esisteva o era marginale, come nelle classi medie urbane. Con l’aumento del benessere, la quantità e valore dei bene chiesti dalle famiglie per accettare nella loro casa e nella loro genealogia la futura sono anch’essi cresciuti. Poche rupie e oggetti utili alla sposa – spesso le sole sue proprietà nella nuova vita – hanno lasciato il posto a cifre consistenti e, inoltre, ad elettrodomestici, strumenti informatici, gioielli, motociclette o automobili con un valore complessivo collegato alle possibilità economiche dalla famiglia della sposa quanto al tenore di vita, all’appartenenza sociale e alla professione del marito.La mancanza, da almeno 25 anni, di una campagna di impegno sociale contro il fenomeno, poi, ha aperto la strada alla sua commercializzazione e facilitato la tolleranza verso le sue aberrazioni.
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