giovedì 20 settembre 2012
L’incubo americano dei latinos: processati a 6 anni senza legali. ​Nelle Corti statunitensi non è previsto l’avvocato d’ufficio per chi entra senza documenti. Nemmeno per i minorenni non accompagnati che devono difendersi da soli. Il 40 per cento di loro avrebbe diritto a una forma di permesso temporaneo, ma non sa come richiederlo.
LO SCENARIO Bambini reclutati, non resta che scappare
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«My name is Juan David González». Con una punta di orgoglio, Juan David si alza in piedi e scandisce nome e cognome in inglese di fronte al giudice. Proprio come la sera prima gli aveva insegnato l’operatrice sociale. Poi si risiede, scomparendo dietro la sbarra. Alla fine, un assistente deve mettere un supporto sulla sedia per permettergli di arrivare al banco. Lo stesso stratagemma che il personale del tribunale di Harlingen, in Texas, aveva dovuto utilizzare qualche settimana prima per l’udienza di Liliana Muñoz. Anche lei non raggiungeva il tavolo. Normale dato che aveva appena compiuto 6 anni. Come Juan David del resto. Entrambi sono baby migranti entrati in modo irregolare negli Usa. Entrambi sono partiti soli – rispettivamente da Messico e Salvador – per raggiungere i genitori, emigrati anni prima: questi ultimi avevano pagato un “coyote” (trafficante di uomini) perché li scortasse. Entrambi, però, sono stati fermati dagli agenti doganali mentre cercavano di attraversare il Río Bravo e sono finiti sotto processo. In aula si sono trovati di nuovo soli: accanto a loro non c’era un avvocato a tutelarli. La legge statunitense non prevede l’assistenza legale gratuita per i casi di immigrazione. Dato che né Juan David né Liliana avevano i soldi necessari per pagare un difensore, hanno dovuto affrontare il dibattimento da soli. Terrorizzati, impacciati, confusi, i due bambini si sono sforzati di rispondere alle domande del giudice, con l’unico aiuto di un’interprete. Entrambi – con ogni probabilità – saranno rimpatriati, dato che i nuovi arrivati non rientrano nella “sanatoria” concessa ora dal presidente Barack Obama. Eppure, forse, avrebbero potuto chiedere una qualche forma di asilo temporaneo. Il gruppo no profit Vera Institute of Justice ha calcolato che il 40 per cento delle volte i minori avrebbero la possibilità di restare legalmente. Nessuno lo saprà mai. Solo un avvocato avrebbe potuto accertarlo e suggerire la strategia. Ma quest’ultimo non c’era, perché due bambini di sei anni non avevano i soldi per l’onorario. Un paradosso per la “patria dei diritti civili”. Dove, però, storie come quelle di Liliana e Juan stanno diventando drammaticamente frequenti. Tanto da far gridare allo scandalo dai gruppi di attivisti. Da gennaio a luglio, in appena sei mesi, ben 11mila baby migranti non accompagnati sono stati arrestati e sottoposti a processo. Il doppio rispetto all’anno precedente. Molti avevano meno di 14 anni, alcuni appena cinque o sei. Un fenomeno in parte nuovo. Fino allo scorso autunno, in genere a emigrare senza i genitori da Messico e America centrale erano minori sopra i 14 anni. «Questi ultimi sono sempre stati numerosi: almeno 4 migranti su dieci», spiega ad Avvenire Leticia Gutierréz, responsabile della Pastorale migranti della Conferenza episcopale messicana. Da ottobre 2011, però, il numero è cresciuto esponenzialmente: fino a luglio erano quasi 22mila i minori soli fermati al confine, il 48 per cento in più rispetto al 2010. Secondo il Pew Hispanic Center di Washington, il flusso di minori da Guatemala, Honduras e Salvador è praticamente raddoppiato. Per la prima volta, anche bimbi piccoli o piccolissimi hanno cominciato a partire, inseguendo il sogno americano. Che, in genere, si trasforma in un incubo. A mandarli – pagando tra i 2mila e i 5mila dollari richiesti dai “coyotes” – sono i genitori, ansiosi di allontanarli dalla violenza che devasta l’intera regione. Negli ultimi sei anni, l’offensiva anti-narcos scatenata dal presidente Felipe Calderón in Messico ha prodotto una guerra di assurda ferocia. Che si estesa anche nei Paesi confinanti. Nel solo Messico si parla di 80mila vittime dal 2006 ma si tratta di una stima per difetto. I dati non sono trasparenti e varie Ong parlano di 120mila. I trafficanti, per sfuggire alla pressione, hanno spostato le basi in Guetemala, Salvador, Honduras. Trasformandoli nelle nazioni più violente del mondo. Il primato spetta all’Honduras con 86 omicidi ogni 100mila abitanti. In Guatemala sono 41, in Salvador 65. Da questi inferni volevano fuggire Liliana e Juan David. E lì, probabilmente, verranno ricacciati.
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