venerdì 4 gennaio 2019
Paziente ricoverato in isolamento: non era infetto. Nella Repubblica democratica del Congo le persone contagiate salgono a quota 608, con 368 morti
L'ospedale della Uppsala University in Svezia

L'ospedale della Uppsala University in Svezia

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Un nuovo caso di ebola in Europa? Per un intero giorno è stato allarme rosso in Svezia, dove una persona è stata ricoverata in isolamento all’ospedale della Uppsala University per un sospetto contagio, stando a quanto riferito dalle autorità regionali. Il paziente era stato inizialmente accolto all’ospedale di Enkoping prima di essere trasferito a Uppsala. Il pronto soccorso di Enkoping è stato chiuso e lo staff che è entrato in contatto con il paziente è stato sottoposto ad accertamenti. Poi in serata è arrivata la notizia che gli esami hanno dimostrato che non si tratta di Ebola. L'allarme è così rientrato.

Casi di ebola si erano registrati in Europa nel 2014 soprattutto tra cooperanti, personale sanitario e missionari, durante la grande epidemia di ebola che aveva coinvolto Guinea, Liberia e Sierra Leone. I contagiati erano soprattutto persone che avevano lavorato sul campo in questi Paesi.

Continuano intanto a salire i casi di ebola nella Repubblica democratica del Congo. Le persone contagiate dal virus sono arrivate a quota 608, con 368 morti nelle province di Nord Kivu e Ituri, da quando l'epidemia è cominciata, ad agosto 2018. Ad aggiornare il bilancio è stata l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), al termine di una visita del direttore generale dell'agenzia Onu, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nelle aree colpite.

Ghebreyesus è tornato a lanciare un monito sui rischi di un rallentamento nella risposta all'epidemia, ostacolata da problemi di sicurezza provocati dai disordini che si sono verificati a causa delle elezioni rinviate la scorsa settimana in alcune aree del Paese, interessando anche centri sanitari. Ghebreyesus ha colto l'occasione per ringraziare gli operatori impegnati sul campo che "si stanno sacrificando molto" e "hanno lavorato duramente per mesi, lontano dalle loro famiglie, per combattere uno dei virus più letali del mondo, in un ambiente rischioso".

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