venerdì 28 agosto 2020
I morti superano quota 21mila e il numero di contagiati vola verso i 365mila. La pressione Usa sulle sanzioni con lo scontro all’Onu e il braccio di ferro sul nucleare ora fanno paura agli ayatollah
Donne a una cerimonia funebre a nord di Teheran

Donne a una cerimonia funebre a nord di Teheran - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

L’epidemia da nuovo coronavirus continua a mietere vittime nella Repubblica islamica iraniana, alle corde per una crisi dai tratti sempre più foschi. Secondo il ministero della Salute, i morti per Covid-19 in Iran hanno superato quota 21mila, mentre il numero di contagiati vola verso i 365mila. Negli ultimi giorni, ogni ventiquattr’ore vi sono stati più di 2mila nuovi casi, con il coinvolgimento di 430 centri urbani diversi. Ora, sui social media, l’intera gestione dell’emergenza è oggetto di critica diffusa persino in un Paese che non conosce libertà d’espressione e in cui la censura è strumento di potere. Su Twitter, Facebook e altre piattaforme l’elenco degli attempati papaveri della Repubblica islamica che stanno perdendo la vita per il virus – l’ultimo in ordine cronologico è Ruhollah Hosseinian, punta di diamante dei servizi segreti iraniani e funzionario politico – va di pari passo con le cronache dell’epidemia fra la gente comune, con annessi commenti sulle falle del sistema sanitario nazionale, la mancanza di trasparenza, i privilegi di cui gode l’élite mentre l’economia implode: la pandemia sta scoperchiando un vaso di Pandora potenzialmente letale per l’oligarchia degli ayatollah. Ecco perché l’esito della partita sulle sanzioni (quelle americane sono costate finora 50 miliardi di dollari a Teheran, ndr) è di vitale importanza per la presidenza di Hassan Rohani, doppiamente presa alla gola: in casa dagli oppositori e sulla scena internazionale dall’amministrazione americana. Gli ultimi sviluppi alle Nazioni Unite potrebbero allungare il percorso politico dei cosiddetti pragmatici iraniani: all’avvio da parte degli Stati Uniti della procedura per reintrodurre le misure internazionali contro la Repubblica islamica, innescato attraverso una lettera della Casa Bianca (tecnicamente, un reclamo per il mancato rispetto delle regole dell’accordo sul nucleare del 2015) alla presidenza di turno indonesiana del Consiglio di sicurezza Onu, la prima risposta è stata picche. Contro lo “snapback”, la reimposizione delle sanzioni appunto, si sono espressi tredici membri del Consiglio su quindici.

Un primo punto a favore di Teheran, che infatti lo sta spendendo in chiave interna, con i portavoce presidenziali impegnati a ribadire la determinazione di Rohani «fino all’ultimo giorno» del suo mandato, in scadenza già il prossimo anno. Se ne riparlerà sotto la presidenza di turno del Niger, fra un mese, anche se l’obiezione dei contrari avrà ancora consistenza: come può un Paese ritiratosi dall’intesa sul nucleare ( Jcpoa) nel 2018 farvi ora riferimento accusando la Repubblica islamica di violarne le clausole? All’inizio del mese, gli Stati Uniti non sono riusciti ad ottenere un sostegno condiviso neanche a una risoluzione che estenda un embargo sulle armi all’Iran. Eppure la strategia della «massima pressione» sulla Repubblica islamica comincia a sortire degli effetti. Mercoledì l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha comunicato il sì di Teheran agli ispettori internazionali in due siti sospettati di contenere materiale nucleare non dichiarato. Inoltre, si intensificano le voci di una ritrovata volontà iraniana di tornare a un tavolo negoziale con gli Stati Uniti. Lo stesso presidente americano Trump, a sorpresa, si è detto disponibile a un nuovo accordo dopo un’eventuale vittoria.

L’isolamento politico della Repubblica islamica, in sintesi, non è totale: Cina e Russia rimangono al suo fianco, la Turchia pianifica nuove collaborazioni regionali, l’Unione europea garantisce una sponda dialogante, gli Stati Uniti stessi alternano bastone e carota. Si concretizza la possibilità di un aiuto del Fondo monetario internazionale. Il fallimento socio-economico del regime, invece, è sì totale e sempre più evidente. Una débâcle ben rappresentata dalla lenta uscita di scena della guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, ridotto a un déjà vu di se stesso. Fra sporadiche intemerate pro-nucleare e sempre più frequenti orazioni funebri per gli ayatollah caduti sotto la scure del Covid-19. Più micidiale di qualsiasi nemico perché inaspettato.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: