venerdì 23 gennaio 2009
Grande adesione alla manifestazione anti-aborto. Invitato Obama, che non ha risposto. Il promotori: il neo-presidente non combatta solo la discriminazione contro i neri, ma anche quella verso i bimbi non nati.
IL CASO Obama chiude Guantanamo: «L'America non tortura»
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Non rabbia ma preghiera. Chi si aspettava una mani­festazione anti- Obama, a due giorni dalla sua festosa cerimo­nia d’insediamento alla Casa Bian­ca, si sbagliava. Molti dei parteci­panti alla Marcia per la vita – che o­gni anno occupa pacificamente il centro di Washington nell’anniver­sario della legalizzazione dell’abor­to negli Usa – erano qui anche il 20 di gennaio. «Per applaudire l’inve­stitura di Obama, un momento sto­rico per il Paese», sottolinea Lesha Johnson, studentessa di Pittsburgh. Qualcosa mancava però a quella ce­lebrazione, e 200mila e più attivisti per la vita lo hanno voluto aggiun­gere ieri: la speranza che l’America sia capace di mette­re da parte non solo la discriminazione contro i neri, ma an­che quella contro i bambini non nati. «A scuola abbiamo studiato la storia della conquista dei diritti civili per i più deboli e le minoran­ze – spiega la 18en­ne Kathleen Carl­son, che ha viaggia­to per 10 ore di fila da Indianapolis per essere qui – ma c’è ancora un capi­tolo di quella storia che va scritto, e spero che Obama se ne renda con­to ». Non tutte le persone che ieri hanno marciato in preghiera verso il Cam­pidoglio erano tanto ottimiste. Cam­minando lungo Pennsylvania Ave­nue, la strada della Casa Bianca, u­no degli organizzatori, Eugene Rua­ne, faceva notare che per la prima volta da otto anni non si aspetta che il presidente mandi una lettera o fac­cia una telefonata ai promotori del­la manifestazione, come faceva puntualmente George W. Bush. «Ab­biamo invitato anche Barack Oba­ma a partecipare, naturalmente», di­ce. La lettera inviata al nuovo occu­pante dello Studio Ovale invocava la sua «leadership per fermare l’uc­cisione intenzionale e quotidiana di tremila bambini e bambine non-na­ti e la traumatizzazione della men­te, del cuore e del corpo di altret­tante donne incinte». Lo staff di O­bama non ha risposto. «È un peccato – continua Ruane –, perché milioni di persone, non solo quelle che sono qui oggi, temono che le azioni della sua Amministra­zione aumentino il numero di aborti praticati negli Stati Uniti ogni anno, già scandalosamente alti a più di un milione e 300mila». E infatti un’in­dagine pubblicata ad inizio anno dai vescovi cattolici americani eviden­ziava che quattro americani su cin­que vorrebbero imporre limiti più severi alla legalità dell’aborto e che circa il 40 per cento vorrebbe vede­re l’interruzione di gravidanza au­torizzata solo in caso di stupro, in­cesto o per salvare la vita della ma­dre. Ma non per questo c’era risenti­mento nei volti che ieri guardavano con curiosità alla Casa Bianca. Le labbra di tutti erano impegnate più che altro dalla preghiera, che chie­deva il perdono di Dio per un’inte­ra nazione che è caduta nel pecca­to di abbandonare i suoi cittadini più inermi. Oppure dalla discussio- ne di che cosa fare per ridurre il nu­mero delle vittime dell’aborto. Una delle iniziative l’ha proposta la Con­ferenza episcopale statunitense. I vescovi hanno preparato e distri­buito migliaia di cartoline che i par­tecipanti alla Marcia sono invitati a spedire ai loro rappresentanti alla Camera e al Senato e che dicono “No al Foca”. Il “Freedom of Choice Act” è da anni all’esame del Congresso e, se approvato, negherebbe ai singo­li Stati il diritto di promulgare leggi che limitino la prassi dell’aborto. In campagna elettorale Obama ha detto che, se i legislatori approvas­sero la misura, sarebbe disposto a firmarla. Di qui la mobilitazione del movimento per la vita, anche se al­cuni analisti politici fanno notare che promulgare il Foca non sareb­be nell’interesse del neo- presidente o del suo partito. «Sa­rebbe un atto pe­sante, che lo distrar­rebbe da altri obiet­tivi – spiega Daniel Larison della rivista American Conserva­tive, presente ieri al­la manifestazione – lo costringerebbe a difendersi dall’ac­cusa di essere un e­stremista. Per non parlare del fatto che potrebbe portare alla chiusura di molti ospedali cattolici». La marcia intanto aveva raggiunto la Corte suprema, dove 36 anni fa set­te giudici (contro due che si erano opposti) promulgavano la famosa sentenza Roe vs Wade, che rendeva legale l’aborto. Nessuno si aspetta che durante i quattro, forse otto an­ni della sua Amministrazione, Oba­ma nomini giudici che dichiarino incostituzionale quella sentenza. Per questo alcuni attivisti per la vita si stanno concentrando su obiettivi più immediati, come programmi che aiutino le giovani donne a con­tinuare gli studi o che forniscano as­sistenza medica e psicologica gra­tuita prima e dopo la nascita di un bambino. «Sono iniziative che possono ridur­re il numero degli aborti – spiega Ja­mes Salt del gruppo Catholics Uni­ted – e ci aiutano anche a tenere vi­vo il dibattito sull’aborto, se non co­me questione politica, di certo come questione morale». I cartelli a favore della difesa della vita: la Marcia di ieri ha visto la partecipazione di oltre 200mila persone a Washington In basso, un altro momento della manifestazione (Reuters)
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