domenica 7 febbraio 2021
La «voglia di vendetta» contro l’ex presidente per l’assalto a Capitol Hill attraversa tutto il partito dei dem. I numeri però in Senato, dove martedì si apre il processo, non basterebbero
La «voglia di vendetta» contro l’ex presidente per l’assalto a Capitol Hill attraversa tutto il partito dei dem. I numeri però in Senato, dove domani si apre il processo, non basterebbero E Joe Biden teme l’eredità politica

La «voglia di vendetta» contro l’ex presidente per l’assalto a Capitol Hill attraversa tutto il partito dei dem. I numeri però in Senato, dove domani si apre il processo, non basterebbero E Joe Biden teme l’eredità politica - Reuters

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«Non sono contro di me, sono contro di voi!». Il grido lanciato da Donald Trump ai suoi sostenitori alla vigilia del voto per il suo primo impeachment – un anno fa – è ancora oggi il pericolo principale che i democratici corrono nel rimettere l’ex presidente in stato di accusa. Ridare energia alla sua base delusa, motivare lo zoccolo duro dei suoi elettori e confermare la loro convinzione che i democratici useranno il potere accumulato (a loro dire «rubato ») nelle ultime elezioni per zittirli sono tutte possibili conseguenze del processo che si apre domani. E che è destinato quasi certamente a concludersi con un’assoluzione del repubblicano. Pur avendo riconquistato una risicata maggioranza al Senato, i democratici non hanno infatti abbastanza voti per assicurarsi i due terzi necessari a una condanna.

Servirebbero 17 sì dei repubblicani, ma il partito conservatore è troppo diviso, e ancora troppo dipendente dalla popolarità di Trump, per rischiare di prendere una posizione di censura nei confronti del suo leader populista che ha giurato vendetta a chi lo tradirà. Il procedimento, che entrambi i partiti hanno interesse a tenere breve, comincerà domani con la presentazione da parte dei “manager” (deputati democratici) della singola accusa approvata dalla Camera (grazie tutti i democratici più 5 repubblicani): istigazione alla rivolta.

Il riferimento è al comizio tenuto da Trump il 6 gennaio e alle dichiarazioni fatte su Twitter che avrebbero incitato centinaia di suoi fan a prendere l’assalto il Congresso all’Epifania. L’attacco mirava a impedire la certificazione dei voti raccolti da Joe Biden e quindi il passaggio di potere a un nuovo presidente, ma si è appreso dalle testimonianze degli arrestati che uno degli obiettivi era anche «l’esecuzione» dei leader del partito democratico, a partire dalla Speaker della Camera Nancy Pelosi. Nessun parlamentare è stato ucciso, ma le ore di violenza che hanno accompagnato l’invasione del Campidoglio Usa hanno provocato 5 vittime e danneggiato profondamente l’immagine della democrazia americana nel mondo. I democratici non vogliono che la responsabilità di Trump resti impunita, e vedono il processo come un passo necessario per buttarsi alle spalle quattro anni di attentati del tycoon alla credibilità delle istituzioni americane. Creare in aula (e agli occhi di tutti gli americani) un legame diretto fra le parole di Trump, compresa la sua insistenza su inesistenti brogli nello spoglio del voto, e la conclusione violenta della stagione elettorale potrebbe fare da “terapia choc” all’America.

Così almeno la vede la maggior parte dei membri del Congresso dell’asinello. E non solo. «I democratici hanno dalla loro un caso molto emotivo e convincente, e, anche se dovessero perdere il processo, lo useranno per condannare moralmente Trump davanti agli americani e macchiarlo per sempre», ha detto Steve Bannon, eminenza grigia dell’elezione di Trump nel 2016. Per questo gli stessi legali dell’ex presidente gli hanno consigliato di respingere la richiesta dei democratici di testimoniare in aula, e insistono nel negare la costituzionalità dell’impeachment di un presidente non più in carica. La loro speranza è di evitare che prove come i video di migliaia di persone con cappelli rossi del Maga (o slogan di Trump) che prendono d’assalto il Congresso possano compromettere le future aspirazioni politiche di Trump e del suo movimento. Ma la strategia dei liberal solleva riserve anche fra i democratici, a partire dal loro leader. Biden, pur non avendo mai contraddetto le ragioni del gruppo parlamentare dem, è rimasto tiepido rispetto all’impeachment, che teme tolga tempo e concentrazione al Senato di fronte alle sfide che deve affrontare, dalla pandemia all’immigrazione alla conferma dei membri del suo governo.

Il capo della Casa Bianca ha fatto anche sapere di non voler creare agli occhi degli americani la sensazione che sia alla ricerca di una vendetta sull’avversario già sconfitto. È un rischio reale, secondo non pochi analisti, visti i precedenti delle prime settimane dell’Amministrazione democratica. Nonostante i suoi ripetuti inviti al dialogo e alla collaborazione bipartisan Biden ha infatti finora governato a suon di ordini esecutivi e la prima volta che ha dovuto ricorrere al Congresso, per far passare il suo pacchetto da 1.900 miliardi di dollari di aiuti contro la pandemia, non ha esitato a utilizzare il voto della sua vice Kamala Harris per rompere l’impasse al Senato. Per questo ha messo in guardia i suoi dallo «strafare», convocando una serie infinita di testimoni al processo al fine di danneggiare il più possibile Trump e i repubblicani. Il clima al Senato, infatti, è già rovente. Se i democratici oseranno chiamare anche un solo testimone all’impeachment, ha già tuonato il senatore Gop Lindsey Graham, apriranno «un vaso di Pandora» di reazioni che «faranno il male del Paese».

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